Editoriale (di L.M.)
L’articolo pubblicato su “AgireOra” che ha per titolo “La pesca e il WWF” fa riflettere su quanto, all’interno di associazioni ormai “sdoganate” dalla pubblica opinione e raffigurate dai media come fulgido esempio di ottime iniziative ambientaliste, si scateni molto spesso la solita, eterna e deleteria dinamica potere/denaro.
Secondo una logica perbenista, inquadrata nei parametri del politically-correct, in base alla quale basta passare per anni in televisione come “buoni” (ed è proprio il caso del WWF) per potersi concedere il lusso di dire e fare ciò che si vuole senza un minimo di rigore, ecco appalesarsi ancora una volta il carattere assolutamente iniquo dell’homo commercialis che riduce a gara a premi ciò che su questo pianeta dovrebbe godere di un rispetto senza pari.
Saremmo curiosi di sapere sino a che punto inorridirebbero i responsabili del WWF se venissero a conoscenza di un’improbabile gara organizzata da una specie differente dalla nostra, nella quale alcuni umani, colpiti con una fiocina da creature dei fondali, venissero trascinati nelle acque profonde fra atroci sofferenze alle quali inevitabilmente seguirebbe la morte per soffocamento.
Si potrebbe sostenere che stiamo vivendo in un’epoca dove le contraddizioni sono pane quotidiano e dove cercare di vivere senza tali incoerenze sarebbe un esercizio assolutamente inutile. Si potrebbe tentare di giustificare l’ingiustificabile facendo chiacchiere, sulla base del fatto che ogni persona dotata di buon senso non deve (e soprattutto non può) inseguire rigidi principi.
E, certo, lo si potrebbe fare (non siamo poi così moralisti!) qualora non fossero in gioco delle vite. Ma contraddizioni come questa vanno molto al di là del più permissivo limite della decenza.
Questi aguzzini si sciacquano la bocca utilizzando la parola “rispetto”, in nome di regole che scaturiscono da logiche antropocentriche e consumistiche allo stesso tempo. Utilizzano frasi ad effetto in nome del buonismo dilagante: “si pulisce il pesce e si mangia insieme quello che il mare quel giorno ci ha voluto regalare”… Parole come queste sono come pietre. La propaganda che tocca le corde “giuste”, quelle legate alla tradizione, legate ai “sani valori” dei bei tempi andati… Paradigmi sub-culturali che impongono la figura del buon pescatore padre di famiglia, che ama le cose semplici, e che conduce una vita esemplare.
Balle!
Ancora più vergognose poiché non è la Barilla con il suo “mulino bianco” a propinarcele, ma un’entità che avrebbe dovuto essere “altro” rispetto ad una holding commerciale. Un’entità che – eticamente – dovrebbe rifiutarsi di definire le vite di esseri senzienti “il pescato”.
E che dire del loro "Smart Gear Competition" che premia i pescatori che si inventano congegni atti a ridurre le catture accidentali di esseri che non si vuole uccidere in quanto “scarti del pescato”? Non viene spontanea l’associazione alle “bombe intelligenti” utilizzate in Iraq e in Afghanistan?
Che fare, dunque?
Dopo esserci ripresi da questa notizia, che fa il paio con quella di qualche mese fa che segnalava banchetti a base di carne di balena da parte di attivisti di Greenpeace, credo che il primo passo sia iniziare una seria campagna di informazione che smascheri queste due “multinazionali” dell’ecologia.
Occorre mettere al corrente, comunicare, fare conoscere. Muniamoci di colla, stampiamo dei manifesti e attacchiamoli nei punti strategici. Facciamo circolare questa e altre notizie simili attraverso tutti i canali che abbiamo a disposizione.
Ma soprattutto: schieriamoci senza alcuna remora contro un simile abominio. Non è più possibile, in nome di un “ambientalismo” di comodo, giustificare qualsiasi cosa.