(articolo segnalato da Kalp, dal sito www.lalente.net)
Eleonora Palma – eleonorapalma@lalente.net
lunedì 26 febbraio 2007
Di solito si fa leva sull’etica, sulla “pietas”, sulle foto cruente con gli elettrodi in primo piano, conficcati nella carne. Ma non basta, non è mai bastato. Arriva veloce la contromossa: meglio salvare un topo o un bambino? “Entrambi”, è la risposta di un numero sempre più ampio di scienziati La vivisezione, o sperimentazione in vivo, consiste in qualsiasi esperimento eseguito su un animale: ne sono vittime circa un milione ogni anno in Italia. Tali prove vengono ripetute ad intervalli ben precisi, con altre forme e altri tempi, sui destinatari ultimi del prodotto: gli esseri umani, noi.
Al centro degli esperimenti ci sono le industrie chimico-farmaceutiche, quelle cosmetiche, le industrie belliche, gli istituti pubblici e le università. Per il 95% si utilizzano topi e ratti (animali poco costosi, piccoli, che si riproducono facilmente e non incontrano molto le simpatie del grande pubblico) ma anche gatti, cani, primati non umani, porcelline d’India, mucche, suini, cavalli, pecore, capre, piccioni, furetti, rettili, pesci ed uccelli. Vengono effettuati test di tossicità acuta e cronica, irritazione della pelle ed inalazione di sostanze, avvelenamenti, induzione di cancro, privazione dei genitori per esperimenti psicologici. Gli animali sono simili a noi nel percepire il dolore, l’apprensione, la paura, ma sono diversi per i meccanismi di assimilazione, per struttura fisica e biochimica.
La sperimentazione animale è prescritta per legge un po’ ovunque ma i risultati troppo spesso sono fuorvianti, tanto più che da decenni è obbligatorio un successivo ed indispensabile protocollo sugli esseri umani. Questo perché non è possibile a priori capire la specie che in quel caso specifico è più simile all’uomo. Animali di specie diversi, come pure di razze diverse – o addirittura di ceppi della stessa specie – rispondono in modo diverso ad un dato stimolo. Esistono differenze microscopiche dei processi metabolici e anche differenze macroscopiche fra uomini e animali. Alcune delle differenze macroscopiche più famose: a differenza dell’uomo, i roditori non sono in grado di vomitare le tossine, l’uomo può accumulare agenti nocivi dal naso e dalla bocca mentre i roditori respirano solo dal naso; ratti, topi e criceti sintetizzano la Vitamina C all’interno del loro corpo ottenendo così naturalmente un potente agente anticancerogeno mentre l’uomo non è in grado di farlo; i ratti hanno una elevata capacità enzimatica di non accumulare massa grassa (che in loro si accumula nel fegato) a differenza dell’uomo nel quale si accumula nelle arterie, diventando una potenziale causa di
patologie.
Nessuna teoria può essere approvata o respinta sulla base di un’analogia. Si sperimentano direttamente sull’uomo sostanze che non hanno subìto alcun reale vaglio preventivo e si corre il rischio di scartare sostanze che potrebbero essere invece di grande aiuto, per il solo fatto che su di una particolare specie sono risultate tossiche.
Qualche esempio significativo può aiutarci: una bella mangiata di amanita phalloides, uno dei funghi più velenosi
presente nei nostri boschi ammazzerebbe tutta la famiglia, dal nonno al nipote, ma non farebbe venire neanche un mal di pancia al gatto di casa. La mitica penicillina è letale per le cavie ma con enorme fortuna per l’umanità fu sperimentata sui topi, come dichiarò Florey, uno degli scopritori insieme a Pasteur. La diossina è innocua per il criceto, letale per il ratto
ma per quanto riguarda l’uomo, abbiamo ancora Seveso negli occhi. Se ci viene il mal di testa ci prendiamo un’aspirina, non i topi e i gatti però: per i primi è teratogeno (1), per i secondi nefrotossico (2).
Difficilmente (per non dire mai) una scoperta biomedica deriva dall’osservazione animale: il percorso inizia da uno studio epidemiologico (ossia un’osservazione scientifico-statistica di determinati gruppi di persone con lo scopo di studiare la frequenza e la distribuzione delle patologie nella popolazione) oppure da un’osservazione clinica casuale: solo in seguito si cerca di ottenere sugli animali lo stesso fenomeno, sperimentando su varie specie, fino a trovare la razza ed il ceppo che diano la risposta.
Questo perché la medicina ufficiale tende ad accreditare la scoperta solo quando l’esperimento sugli animali è positivo, esperimento tagliato e cucito su misura, che può dimostrare tutto e il contrario di tutto. La sperimentazione animale può (e ci è riuscita molto bene) persino rallentare la ricerca: gli effetti dannosi di alcool, fumo di sigaretta, amianto, metanolo, non sono stati considerati provati scientificamente per moltissimi anni.
Molti farmaci, testati regolarmente su cavie di varie specie, hanno avuto conseguenze nefaste: l’Opren, un farmaco contro l’artrite, ha ucciso 61 persone (3). Sono stati documentati più di 3500 casi di reazioni connesse, gravi e meno gravi. Il Talidomide, un tranquillante per le gestanti, si è dimostrato teratogeno, ovvero in grado di alterare il corredo genetico, dando luogo alla nascita di bimbi focomelici, privi di arti sviluppati. Gli scienziati cercavano negli animali la prova di ciò che già era tristemente noto nell’uomo, in base ad un semplice studio statistico. Nessuno degli animali da laboratorio trattati con il talidomide in un primo tempo ha causato feti focomelici e questo ritardò il suo ritiro dal mercato.
Soltanto aumentando la dose e la varietà degli animali si ottennero alcuni nati focomelici in una delle circa 150 razze di coniglio, il coniglio bianco neozelandese, a dosi comprese tra le 25 e le 300 volte superiori a quella normale per l’uomo. Il riscontro epidemiologico è stato ignorato per 5 anni, il farmaco ritirato solo nel 1962, dopo la nascita di migliaia di bambini gravemente malformati.
Dopo questi e molti altri episodi le case farmaceutiche sono corse ai ripari: basta dare un’occhiata ai foglietti illustrativi.
Su quello del Clopifogrel – testuali parole – c’è scritto: “studi di riproduzione condotti nel ratto e nel coniglio non hanno rilevato alcuna diminuzione della fertilità né danno fetale attribuibili a Clopidogrel. Non esistono però adeguati studi e controllati su donne gravide. Per la mancanza di dati non è consigliato durante la gravidanza”.
Non solo i foglietti, ma anche le riviste più autorevoli hanno preso coscienza del problema, oramai non è più una questione per anime candide ed animalisti irriducibili. Nel Febbraio 2006 i ricercatori del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami e del dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Stoccolma hanno affermato che la struttura del tessuto umano responsabile della produzione di insulina è fortemente diversa da quello dei roditori, normalmente utilizzati per studi sul diabete. Insomma almeno 30 anni di studi falsati. “La nostra maggiore scoperta è che il tessuto pancreatico umano ha una struttura totalmente unica e ha una modalità di funzionamento diversa rispetto a quello di roditori. Non possiamo più continuare a basarci su studi condotti su topi e ratti. È imperativo ora focalizzarci sui tessuti umani perché alla fine, è l’unico modo che abbiamo per capire come funzionano”.
A fine 2006, il British Medical Journal ha pubblicato un articolo dal titolo: “Confronto degli effetti delle cure provate su animali e clinicamente: una revisione sistematica”. Il giudizio è chiaro: “La nostra revisione sistematica fornisce indicazioni sulla limitatezza dei modelli animali, e sulla loro incapacità di rappresentare le corrispondenti malattie negli umani”.
Ma quali sono le alternative (possibilmente più efficaci delle sofferenze animali)? Ha fatto passi da gigante
l’epidemiologia molecolare, una scienza che collega i fattori genetici, metabolici e biochimici a dati epidemiologici
sull’incidenza delle malattie. I risultati arrivano: il Lipid Research Clinics Trial ha dimostrato che abbassare l’1% il tasso di colesterolo ematico riduce di almeno il 2% il rischio di malattia cardiaca. Studi in vitro sui tessuti cellulari hanno permesso di studiare e perfezionare i più usati farmaci anti-HIV: l’AZT, il 3TC e gli inibitori della proteasi. Gli studi in vitro si sono rivelati utilissimi per i test di tossicità, per studiare specifiche parti del corpo. È entrata in campo anche la robotica, con modelli matematici computerizzati come il Derek, simulatori e manichini computerizzati. Dalle biopsie endoscopiche si possono ottenere informazioni durante i vari stadi della malattia. Ad esempio è stato dimostrato che il cancro al colon deriva da tumori benigni (adenomi), risultato del tutto in contrasto con il modello animale più usato, in cui la sequenza non c’è.
Gandhi ha definito la vivisezione il crimine più nero tra i neri crimini commessi dall’uomo, Kant ha scritto che la la crudeltà nei loro confronti predispone ad uguale comportamento verso i nostri simili. È giunta oramai l’ora di chiudere quei laboratori, con le gabbie tristi e mai a norma, ancora aperti solo per un’inerzia culturale, superata dalla dottrina scientifica maggioritaria ma non ancora dalla coscienza comune. Chi fa divulgazione ha un grande compito: sollevare il velo di ignoranza.
LIBRI CONSIGLIATI:
(1) Sulla vivisezione. Lettera aperta al signor Ernest von Weber, autore dello scritto «Le camere di tortura della scienza»,
Richard Wagner, Euro 10,00
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(2) Gli animali e la ricerca. Viaggio nel mondo della vivisezione, Stefano Cagno, Euro 10,00
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NOTE:
(1) Sono teratogeni quelle sostanze o quei farmaci che provocano malformazioni nel neonato.
(2) Sostanza nociva ai reni.
(3) Si veda il sito
laLente.net