Viaggio all’interno del Borneo Indonesiano, una natura in pericolo, deforestazione e specie a rischio, un universo meraviglioso che grida di essere salvato.
Immaginate una foresta meravigliosa, maestosi alberi che svettano verso un cielo azzurro e nitido, suoni incantati che non vi danno tregua, uccelli e scimmie che si alternano tra i rami rigogliosi; un odore di natura accogliente che vi accompagna insieme alle gocce di rugiada e di umidità condensata sul vostro corpo.
Attese con la testa rivolta verso l’alto per scorgere, catturare qualche figura volteggiante tranquilla. Un sistema perfetto di equilibrio nel quale ogni essere, ogni singolo frammento è una magia. Poi d’improvviso le fiamme, sentite odore di carbone, il cielo si fa nero, fumi e calore devastano quel prodigio, il fuoco distrugge la foresta ed ogni abitante. Vi siete mai chiesti cosa c’è dietro ogni cosa che consumiamo ogni giorno? La rovina più grande degli ultimi decenni è il consumismo sfrenato, l’utilizzo di materie che comportano danni ambientali irreparabili.
La foresta pluviale indonesiana è la prima al mondo per la deforestazione, la velocità con la quale la stanno disintegrando è allarmante ed ha superato anche l’Amazzonia. Dietro le multinazionali che in questo paradiso creano illusorie opportunità di crescita economica a svantaggio dell’ambiente ci sono soltanto fantasmi di un futuro annientato: olio di palma, industrie cartarie, esportazione di legno, ogni singolo materiale nasconde una inaccettabile tragedia, dal punto di vista ecologico, etico ed economico. Il mio viaggio doveva essere un documentario, un diario che dimostrasse la situazione di pericolo del paradiso pluviale del Borneo Indonesiano e gli oranghi erano il fulcro di questa avventura. Un viaggio all’interno di un mondo in pericolo, un mondo gravemente danneggiato, un foresta che era stata ridotta dall’originale del 75%, e negli ultimi 10 anni 20 milioni di ettari, dei restanti 80 erano stati disintegrati; pellet, ramino, olio di palma, bio fuel, industria cosmetica, industria cartaria, il profitto delle multinazionali stava, ad un ritmo incontenibile, distruggendo il patrimonio più importante del nostro pianeta, le foreste. Il killer numero uno, i soldi, stava causando distruzione e morte. La mia rabbia era senza freno, non sapevo cosa fare volevo solo urlare al mondo di cambiare, volevo filmare, fotografare e scrivere storie per raccontare cosa l’essere umano causa alla terra, io una “earthling” prima di tutto sentivo forte che i miei fratelli avevano bisogno di aiuto. Partii con la mia amica e fotografa Margherita, ci ritrovammo in una realtà devastata, una natura che ad un ritmo incalcolabile veniva disintegrata.
La visione dall’aereo fu scocciante; quando arrivammo sul Kalimantan Tengah con l’aereo, proprio sopra Pangkalan Bun, iniziarono visioni di fuochi sparsi ovunque, fumi che si alzavano per centinaia di metri ed intorno un deserto di terra bruciata. Non potevo sentire l’odore della natura incenerita, ma la sensazione di calore insopportabile, di distruzione e ingiustizia, mi assalì. Ma in quel vulcano di illegalità il paradiso ci accolse, la foresta pluviale con i suoi suoni, i suoi profumi, la presenza continua degli oranghi che volteggiavano sulle nostre teste e i canti dei gibboni che sembravano uccelli e che cullavano il lento avanzare del giorno. Per sei giorni la nostra casa è stata un battello, un Klotok, imbarcazione tipica del luogo, semplice ed accogliente.
Mangiavamo pasti deliziosi, usavamo la doccia quando il battello attraversava le acque limpide di quel tratto di fiume scampato all’inquinamento da mercurio. Il fiume che attraversa il parco del Tanjung Puting, il Sungai Sekonyer è un nastro di acque inquinate sino ad un certo punto, le fabbriche che scaricano mercurio nelle acque non trovano freni da parte del Governo abbastanza forti; vengono multate e poi si ricomincia. È impressionante il confronto con la meravigliosa fauna che si affaccia sulle rive e il colore del fiume che potrebbe essere paragonato ad una melma di un pozzo nero. Ma improvvisamente il colore cambia, le acque sono nere, ma di un nero incantevole e profondo ed è in quell’acqua che ti puoi bagnare. Ogni tanto capitava, non a me purtroppo, di scorgere la testolina di un coccodrillo che navigava, indisturbato dal motore del battello che lento scivolava dritto verso la nostra meta: Camp Leakey.
Camp Leakey è un’oasi creata dalla dottoressa Birute Galdikas pioniera nel Borneo per ciò che riguarda la difesa delle specie a rischio, in questo caso degli oranghi. Creò questo spazio speciale per riabilitare gli esemplari scampati alla deforestazione, un’isola dove non solo gli oranghi potevano sopravvivere. E poi un luogo magico che abbiamo avuto il privilegio di visitare è il Care Center della dottoressa, la clinica dove i cuccioli di oranghi vengono accuditi; come delle mamme premurose i collaboratori della clinica si prendono cura dei piccoli orfani. Sono cuccioli rimasti senza madre, scampati agli incendi delle foreste devastate, oppure recuperati in qualche villaggio circostante dove vengono venduti come pet.
L’emozione è stata immensa, orde di “bambini” bisognosi di contatto ci hanno assalito; non posso descrivere la tenerezza e l’amore che ho provato in quegli istanti. Avevo una gonna verde, colore molto amato a quanto ho potuto constatare, è diventata una tenda, una liana, un rifugio, ma soprattutto un gioco, per dei cuccioli ai quali devono insegnare a vivere nella foresta, perché non hanno più un genitore che lo faccia. Vengono assistiti sino all’età di sei anni circa, allattati, portati nella foresta per insegnargli a nutrirsi, è un lavoro che permette a questa meravigliosa specie di non scomparire. Quando sono pronti per vivere indipendenti tornano nel loro habitat. Il logging in questa zona del Borneo è un flagello, se soltanto vi avvicinate alla città di Pangkalan Bun, tutto intorno è un traffico di mezzi pesanti che hanno devastato ogni via di accesso alle fabbriche di olio di palma. Strade massacrate dal continuo via vai di auto-cisterne cariche di olio, o tir che trasportano legname. Ettari ed ettari di foreste in fiamme, per poter soddisfare la richiesta sempre crescente, da parte dell’occidente principalmente, di materie prime: olio di palma, legname vario, pellet e bio- fuel, che di bio, a parte il nome, non ha proprio nulla.
L’Indonesia è il terzo paese per emissioni di Carbonio, dopo Stati Uniti e Cina. Circa un quinto delle emissioni di gas serra è provocato dalla distruzione delle foreste, pari alle emissioni di auto, navi, aerei, camion di tutto il globo. Le foreste indonesiane sono, malauguratamente, una immensa fonte di guadagni, non solo per il legno e le industrie cartarie, ma vengono distrutte per fare spazio a piantagioni di olio di palma. Ultimamente la Banca Mondiale ha dichiarato che avrebbe sospeso i finanziamenti per le piantagioni di palma da olio poiché causa di una deforestazione senza scrupoli. Ci sono voluti più di venti milioni di ettari disintegrati per farglielo capire. La situazione del Borneo è disastrosa ma anche in altre regioni dell’Indonesia ci sono gravi danni alle foreste.
A Sumatra è in atto un’aggressione violenta alle foreste torbiere; negli ultimi 20 mila anni si è accumulato un consistente strato di torba nelle foreste torbiere indonesiane, 300 tonnellate di carbonio per ettaro. Ma queste foreste vengono distrutte e la torba utilizzata per le piantagioni; a contatto con l’ossigeno il carbonio della torba si decompone tornando nell’atmosfera, nel giro di pochi anni. Se poi viene bruciato bastano pochi giorni. L’industria cartaria è tra le principali cause del disastro ambientale, insieme a quella dell’olio di palma. L’Asia Pulp & Paper, è il più grande colosso cartario che senza scrupoli sta disintegrando il patrimonio verde in Indonesia . Il Governo indonesiano ha concesso alla multinazionale di abbattere circa 200.000 ettari di foresta nella regione di Sumatra, già gravemente danneggiata; questa concessione avrà inizio proprio quest’ anno nel 2010. Vergogna per l’incoscienza con la quale si sta annientando uno degli ecosistemi più importanti del nostro pianeta e con lui tutte le specie che vi abitano. Vergogna per tutti gli animali che vengono uccisi, privati del loro habitat, venduti come animali da compagnia o come souvenirs, per la crudeltà con la quale il denaro guida la mano ai governi e le multinazionali.
Come non provare vergogna per ciò che è stato causato a quei contadini che si sono visti cacciati dalle loro foreste, vederle incendiare, essere costretti a cambiare lavoro, città, perché nulla di tutto quello che li aveva cresciuti esisteva più. La nostra guida era un Dayak, popolo originario del Kalimantan, cresciuto a Kumai, porto importantissimo che collega il Borneo con Java con battelli che partono ogni giorno rotta Semarang; lui lavora all’interno del Tanjung Puting, ed i suoi genitori possedevano una porzione di foresta, come tanti laggiù, ed ora si trovano a gestire un microscopico negozietto che gli permette a stento di sopravvivere, circondati da povertà e da difficoltà di ogni sorta: scuole a pagamento sin dall’inizio, spese mediche a carico dei pazienti, difficoltà ad accedere a qualsiasi tipo di servizio come telefono od internet; ed anche se in grado di utilizzarlo costi al di fuori della portata di chiunque. Mi sono sentita veramente in imbarazzo, mi guardavo intorno e vedevo dignità, impegno enorme in tutte le attività che si svolgevano, rispetto e amore per la terra. Ogni porzione, ogni angolo di mondo laggiù è prezioso, la foresta è la loro risorsa più grande e mi è venuta voglia di non tornare più indietro, cibarmi di quella natura ogni secondo della mia vita. Il nostro viaggio aveva lo scopo di documentare ogni situazione a rischio, senza distinzioni; il mio motore inizialmente sono stati gli oranghi, ma approfondendo questa spinta, ho trovato dentro di me tante urgenze collegate tra loro, la grave carenza di aiuti sanitari, l’istruzione a pagamento, la difficoltà di poter emergere da situazioni di povertà. Certo tutto ciò non è visibile agli occhi di un turista, il turista viaggia con l’obiettivo di conoscere luoghi e bellezze del posto; in tutto questo l’umanità che entra in relazione con lui non è nello spettro di interesse del suo viaggio, poco importa di ciò che era e che sarà, ma in quell’istante, l’istante del viaggio, ogni cosa è congelata perché non lo seguirà, rimarrà in quel luogo, nell’ignoranza di un visitatore che non ha analizzato, non è entrato in contatto con la vita e le emozioni del popolo che lo ha ospitato. L’Indonesia mi ha stregato, ha catturato ogni cellula del mio spirito e tiene in ostaggio i miei sogni. La foresta ha letteralmente invaso i miei pensieri.
Ora centinaia di animali abitano la mia mente, a volte rumorosamente a volte con garbo, mi accompagnano ovunque. Nelle notti in cui la luna è alta la confronto con quella che vedevo tra i rami sinuosi, in un cielo invaso da stelle brillanti come non mai, tra nugoli di luce che scorgevo attraverso il tessuto sottile delle tendine antizanzara. Non basta una notte né cento per saziarsi di quella meraviglia, un viaggio che comincia e non può finire, non deve fermarsi mai; il viaggio per me è come una carovana di desideri che non smettono mai di essere in movimento, corrono dietro all’universo che veloce rotola in ogni direzione. Adesso è il momento di agire con consapevolezza, dobbiamo renderci conto che il patrimonio più importante del nostro pianeta sta scomparendo, il consumismo, l’incoscienza e l’avidità creeranno un deserto. L’Indonesia ha il più alto tasso di deforestazione del mondo, è un paradiso da proteggere, il più grande arcipelago esistente, 18.000 isole, dopo l’Amazzonia è il luogo con più specie viventi; Oranghi, tigri, rinoceronti ed elefanti, rischiano di scomparire per sempre da questi luoghi. Il mio viaggio non avrà mai fine e ci vuole coraggio per salvare il pianeta e per lasciarsi portare lontano.
Grazie al prezioso aiuto di http://www.salvaleforeste.it/