Un cielo terso, limpido di un azzurro accecante, un prato di persone che gridano “Vergogna”, una collina verde, di un verde puro, assoluto, un vento leggero che a sprazzi conforta dal sole cocente di primo pomeriggio. Green Hill, niente di questo nome evoca la realtà che si nasconde, l’inganno umano, la crudeltà che traspira da ogni singolo istante di agonia. Green Hill, una fabbrica di esseri senzienti, destinati all’industria farmaceutica, destinati all’inferno dei laboratori d’Europa. Piccole creature allevate in gabbia, organi da esperimento, echi lontani di abbai e pianti continui. Non c’è giorno e non c’è notte. Il sole parrebbe avvolgere le delicate casette, d’un rosso di Siena e prati e fieno tutt’intorno. Il corteo è partito lo stesso, volevano fermarci e noi siamo passati, lo stesso.
Le guardie in tenuta “antisommossa”, come se noi fossimo lì per fare violenza a qualcuno, per disturbare la quiete di quel “paradiso”. La strada verso l’inferno l’abbiamo percorsa, eravamo tanti, c’è chi dice più di mille, anche di più forse; mille cuori palpitanti di lacrime e grida. Grida di vergogna, di sdegno, per quel sacrilegio che è violare il rispetto per la vita, per ogni singolo attimo di respiro di ogni organo che abita il pianeta. La fabbrica della morte alleva beagle. Da questo luogo dell’orrore ogni mese escono oltre 250 cani che vengono spediti nei laboratori d’Europa, come il terribile Huntingdon Life Sciences in Inghilterra. Nell’inferno di Green Hill, nei 5 capanni sulla verde collina, sono rinchiusi più di 2.500 cani, senza comprendere le cucciolate. Creature senza voce, senza diritti, senza futuro. L’inferno deve cessare, niente soste, niente incertezze, non si torna indietro, l’inferno di Green Hill deve chiudere. Paradise Now gridava Julian Beck negli anni ’60, quando il Living Theatre esprimeva attraverso questa frase il diritto alla felicità su questa terra, qui ed ora. E io aggiungo per ogni essere vivente, perché questo pianeta non sia più un luogo di tortura, un luogo di trappole, di prepotenze; Green Hill è soltanto un frammento di tante crudeltà, un granello delle migliaia di violenze umane, un buco nero che inghiotte vite. La vivisezione è priva di intenti, non è per gli uomini, non è in nome della ricerca, è in nome delle industrie farmaceutiche, un business della morte. Nel mondo ogni anno vengono uccise tra i 300 e i 400 milioni di creature, in nome della ricerca.
L’allevamento di Green Hill, acquistato qualche anno fa dall’azienda americana Marshall Farm Inc., mira a diventare il più grande d’Europa. Ampliandolo infatti creerebbero spazio per circa 5.000 cani. Quanto costa una vita? Tra i 400 e i 900 euro. Mi sono chiesta che valore diamo alla vita, quanto può costare la vita di un essere vivente? Veramente noi esseri umani possiamo decidere che valore dare al respiro di un altro essere? Io rispondo no!
Il corteo ha gridato questo a Montichiari il 22 maggio, quando sotto il sole abbiamo urlato contro gli aguzzini della morte, contro quel luogo infernale, per dare voce alle creature che pur gridando non vengono ascoltate. Oltre le grida, oltre gli slogan, oltre l’ indignazione, un solo unico coro: “Green Hill chiuderà”, perché la vita non ha prezzo, non ha colore, non ha specie, ha solo un unico battito, un valore senza confini che dobbiamo difendere, diversità di pensiero, unicità di intento, basta con la violenza, basta vivisezione, basta allevamenti. Il mio basta è un urlo che avvolge tutto il mondo, un mondo dove l’uomo ha la convinzione di avere diritti su ogni singolo individuo e per individuo intendo essere vivente; la connessione che unisce ogni vita, ogni abitante della terra, è come un nastro che ci lega, ci incastra in un grande sistema vivente, un grande organismo che necessita di ogni particella pulsante. Non smetteremo di gridare, né di marciare sino a che il respiro di ognuno diventi un unico grande globo di sussurri in sintonia con ogni istante di vita presente sul pianeta.
Un sogno?