In questi anni di lotte, di grida, di sommessi sogni e di sforzi, spesso mi sono trovata a dover considerare quale fosse il motore che ci spinge verso una giustizia, non umana, universale, assoluta, che non riguarda le specie, bensì l’equilibrio. Mi ritrovo oggi circondata da fatti incomprensibili, fattacci per meglio dire, situazioni che nella migliore delle ipotesi, senza il senno di cui, per fortuna, alcuni umani sono capaci, si finirebbe a rotolarsi per terra con tanto di capelli strappati ed occhi gravemente lesi.
Possibile, e qui mi appello a chi dello stile di vita Vegan ha fatto un modus vivendi inattaccabile e profondo, che il fatto stesso di alimentarsi cruelty free non riesca ad incidere un solco di coerenza e coscienza nell’animo di chi lo abbracci?
Possibile che il termine Antispecismo debba catalogare e relegare i comportamenti etici solamente verso la sponda dell’animalismo (umani esclusi, perché l’essere umano non lo merita). Non credo, l’Antispecismo per me è oltre la violenza, oltre le specie e le razze, oltre il sesso e le religioni, in poche parole: Oltre.
Di lotte intestine in questi tempi se ne sono viste tante, faide vere e proprie il cui oggetto erano semplicemente dissapori, disonestà, menzogne, avidità, presenzialismo o invidie, il potere attanaglia anche chi, illusoriamente, pensa di dedicare la propria esistenza alla Liberazione Animale.
Domanda: ma a noi umani chi ci libera? Chi, se non noi stessi? Orizzonti di malsani atteggiamenti fanno sì che qualsiasi attività possa essere strumentalizzata nel tentativo, spesso subdolo e celato, di demolire un individuo, senza tenere conto che dietro quell’individuo ce ne sono altri, una connessione infinita di legami e vite che imprescindibilmente si alimentano.
L’errore, tutto umano, è di considerare ogni individuo una causa a sé, un’isola da conquistare, per mostrare al mondo quanto si è forti, uno spudorato tentativo di colonizzare l’altro.
Liberazione Animale… e quale sarebbe il motore che spinge alcuni a gridare alle manifestazioni, mascherati da cuccioli indifesi, la rabbia e lo sdegno contro la violenza, contro i soprusi e la crudeltà, per poi magari ingannare i propri fratelli, aggredendoli con infamie, vomitando, soprattutto sul web, illazioni tali da generare solo dolore?
Ci sono mondi nei quali non vorrei mai addentrarmi, il mondo della menzogna, quello che ti avvolge e ti inganna, ed inganna per primo chi lo sposa, colui che nel corpo di un essere che apparentemente si dedica ad una causa, si auto incensa di una veste intoccabile: quella dell’attivista, colui che mai farebbe del male ad un altro essere, colui che si sbrodola davanti alle petizioni on line, quello che pontifica di fronte all’umana ignoranza, inconsapevole che lui stesso è vittima dell’arroganza generata da un unico scopo, Egotismo allo stato puro.
Il mio dolore e la mia rabbia sono figli della storia, la mia storia, ossia ciò che i miei occhi hanno visto, ciò che le mie mani accarezzato, ciò che il mio cuore, ferito, ha osservato e vissuto; il dolore di vedere un amico bersaglio di lance e frecce avvelenate per il solo scopo di rendere innocuo un gigante, difficile da atterrare.
Proprio questa difficoltà nel distruggere mio fratello “il gigante”, ha generato negli anni un accanimento insistente, senza pensare che “questo” accanimento non ha fatto altro che rinforzare i legami veri, quelli unici, autentici, al di là del bene e del male, al di là delle fazioni e delle chiacchiere.
A questo punto è necessaria una storia, una piccola favola: mio fratello “il gigante”, vive in un luogo dove la cosa più importante non è quanto Ego riuscirà a nutrire al giorno, o quante persone verranno a conoscenza della sua missione, la cosa più importante - per mio fratello – è, sempre e soltanto, le vite di tutti gli esseri che condividono con lui la quotidianità di un oasi di boschi e cieli tersi, dove piccoli esseri indifesi dormicchiano al sole sereni, dove creature malate vengono curate ed accompagnate verso la fine, laddove la sorte l’avesse deciso.
In questo luogo le mani fameliche di alcuni si sono affacciate, per sporcare, gettare immondizie di parole, per poi ritrarsi gonfie di tutto quello che potevano accaparrare, noncuranti delle conseguenze e del fatto che in quella valle non viveva solo mio fratello, vivevano e vivono centinaia di creature, centinaia di respiri e cuori che battendo all’unisono si sostengono.
E quel filo, quel legame era - ed è tutt’ora - l’ancora e la ragione di una valle intoccabile ed inaffondabile. La storia continua, perché sotto il sole della valle si avvicendano umani e non, che tentano di convivere, condividendo giornate di quiete e momenti di incomprensioni, talvolta manipolando, taluni umani, ciò che chiaramente appare come un evolversi delle relazioni, ossia una realtà mascherata di buoni intenti che non sempre si sviluppano in una scelta, al contrario si devia il percorso intrapreso con energia e partecipazione verso la strada del risentimento e del sotterfugio, dimenticando ancora una volta, quanto inutile e devastante può essere l’Ego, quello che ingabbia e che illude, che trascina verso convinzioni di centrismo e (in)giustizia.
Le perplessità con le quali coabito riguardano le contraddizioni che investono certi comportamenti. Essere Vegan, o almeno dichiararsi tale, attribuendo a questo termine la caratteristica di “essere evoluto” o “essere consapevole” mi fa rabbrividire quando penso ad individui che sventolano la loro bandiera antispecista in faccia ad altri individui umani, urlando la loro (in)giustizia ed il loro valore, usando il telo di un drappo per soffocare, per eludere ed ingannare, per la propria utilità e la propria gloria.
E’ evidente quanto il desiderio di emergere possa influenzare, rendendo gli ideali più alti e nobili, il veicolo per sostenere il ruolo di chi al di sopra di tutto interpreta la parte del perfetto attivista.
Basta fare cene benefit ed eventi a favore degli animali per essere persone etiche? E’ sufficiente guardare le etichette degli alimenti che consumiamo, tenendo alla larga alimenti di origine animale dalla nostra dieta, o guardiamo anche se quegli ingredienti siano la fonte, nascosta, di sfruttamento, abusi, lavoro minorile, deforestazione? È veramente sufficiente gridare “Basta Vivisezione Adesso” se il primo luogo della terra, il nostro cuore, il luogo da cui inizia la nostra strada verso il rispetto è lontano dall’universalità dell’essere antispecista? Esserlo, non farlo, con la voglia di allontanare la menzogna, gli inganni intenzionali, le infamie, le brutture tipiche di chi ha il vuoto dentro e non un vuoto sano e pronto ad essere colmato di tutte le bellezze che la natura può offrire, ma il vuoto arido di un deserto di spine e solitudine, quello generato dalla cattiveria di desiderare il male dell’”altro”. In questo mondo, popolato da miliardi di anime io continuo a camminare, scontrandomi talvolta con individui, umani e non, con i quali entro in relazione, contatti di palpiti che si incontrano e a volte si riconoscono, con la assoluta consapevolezza dell’unicità di ognuno attraverso le strade che si intersecano e allontanando quella smania e desiderio di protagonismo che mi travolge, quella crudeltà generata dalla debolezza di esseri umani insicuri che fanno della loro insicurezza la spada con cui colpire cuori di acciaio.
Da tempo siamo impegnati nella lotta allo sfruttamento animale promuovendo parallelamente uno stile di vita senza crudeltà. Siamo fermamente convinti che lo stile di vita vegan sia la prima, semplice e concreta forma di azione diretta, è per questo che sosteniamo il progetto della fondazione ValleVegan. ValleVegan nasce nel gennaio del 2006, situata a circa 60 km da Roma, immersa nel verdissimo appenino laziale, si estende per quasi 11 ettari di terreno tra i comuni di Bellegra e Rocca Santo Stefano. La Valle è il rifugio degli animali e per gli animali che hanno subito reclusioni, torture e violenze; è un ambiente "fisico e culturale" in cui tutti gli esseri viventi possono sperimentare e scoprire una dimensione di incontro, conoscenza e convivenza interspecifica.
Oltre alle attività di recupero e reintroduzione in spazi naturali degli animali, il progetto si occupa di promuovere uno stile di vita vegan. Gli abitanti umani vivono in un casale rustico, autoproducendo i beni di prima necessità: dal pane alla verdura. La Valle sostiene la liberazione animale e l'antispecismo ritenendo libero ogni singolo individuo, di qualunque specie animale, senza giustificare in alcun modo la sopraffazione di una specie sulle altre. Le attività svolte al di fuori della Valle sono principalmente di lotta alle forme di sfruttamento animale come i campi anti bracconaggio e disturbo venatorio, organizzati in Italia e all'estero, manifestazioni, serate divulgative, cene vegan.
Per promuovere e diffondere il progetto della fondazione ValleVegan siete tutti invitati all'evento benefit che si terrà SABATO 11 GIUGNO alla Sala Convegni della Città dell'Altra Economia, Largo Dino Frisullo (Testaccio) a Roma.
Durante la serata verranno spiegate nel dettaglio le attività principali svolte dalla fondazione, si terrà quindi una cena/buffet vegan e si chiuderà con la proiezione del documentario THE WITNESS - IL TESTIMONE (Vocale originale e sottotitoli in italiano).
L'offerta suggerita per la serata è 10 EURO (pasto completo + bevanda) e se avanza cibo, bis a volontà (non si butta via nulla).
Invitiamo chiunque sia affetto da intolleranze alimentari ad avvisarci, cercheremo di provvedere ad una valida e gustosa alternativa!
IMPORTANTE: In occasione di questa serata chiediamo cortesemente di PRENOTARVI mandando una semplice email all'indirizzo info@ocsanimal.org, con l'eventuale numero di persone presenti entro il 9 giugno, grazie.
Questa iniziativa inoltre dimostra la nostra volontà di continuare ad organizzare eventi, con i nostri contenuti, all'interno di spazi che in questo momento sono a rischio, a causa della pressione di una logica che vede nel profitto e nello sfruttamento i suoi 'principi' di base. La Città dell'Altra Economia, un luogo di incontro e scambio, dove in passato abbiamo avuto modo di organizzare eventi, è uno di questi posti. Per ulteriori informazioni sull'attuale situazione che prevederebbe nei prossimi mesi la chiusura della Città e l'avvio di un progetto che oltre al danno, risulterebbe anche una beffa (per saperne di più leggere quest'articolo: http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/04/20/news/citt_dell_altra_economia-15163851/), vi rimandiamo al sito ufficiale: http://www.cittadellaltraeconomia.org/
OCSA - attivismo abolizionista per la liberazione animale www.ocsanimal.org
NOTA IMPORTANTE: 1. Indicazioni per arrivare alla Città dell'Altra Economia: quando arriverete su largo Dino Frisullo, vi troverete davanti al Macro, girate a sinistra e entrate in via Monte Testaccio. Appena dopo pochi metri non proseguite per via monte testaccio ma tenetevi le alte mura dell'ex mattatoio sulla destra. Arrivate in fondo alla strada e sulla destra vedrete due grosse entrate ad arco, prendete la prima delle due, proseguite per circa 100 metri, parcheggiate l'auto e vedrete alla vostra destra una struttura, è la Città dell'Altra Economia.
"Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario." George Orwell
Promuovendo sempre e comunque la lotta a 360° nei confronti di tutte le attuali forme di sfruttamento animale (ricerca scientifica, intrattenimento, vestiario, caccia ed ovviamente cibo), torniamo in strada a parlare di alimentazione carnea, di schiavitù a cui sono costretti miliardi di individui rinchiusi negli allevamenti e della promozione del veganismo, la prima vibrante protesta che può creare un cambiamento di coscienza e l'interruzione immediata della domanda di sfruttamento e morte. Intendiamo fare tutto ciò con un'azione dimostrativa, con l'intento di un forte impatto visivo, il coinvolgimento e il contributo di più persone che possono essere interessate. Cercheremo di realizzare l'iniziativa in prossimità di luoghi dove lo smembramento dei corpi degli animali non umani viene reso merce a disposizione dei passanti.
Per realizzare l'iniziativa avremo bisogno di diverse persone, se sei interessat* e pensi di poter dare il tuo contributo, contattaci via email all'indirizzo 25giugno@ocsanimal.org e ti spiegheremo più nel dettaglio. In ogni modo prossimamente daremo ancora più informazioni al riguardo.
La giornata di sabato 25 giugno non si conclude con l'azione dimostrativa! A seguire, poco distante, dalle 20:30, presso 'Il Cantiere' (Via Gustavo Modena 92, Trastevere) organizzeremo una cena/buffet vegan benefit con piccola introduzione e a seguire la proiezione del film Bold Native (vocale originale e sottotitoli in italiano). Per maggiori informazioni: pagina facebook OCSA
Vi invitiamo a partecipare a questa vibrante giornata assieme a noi! OCSA - attivismo abolizionista per la liberazione animale
Note importanti : 1. Il luogo della protesta potrebbe subire variazioni che provvederemo a comunicare prontamente, comunque non sarà distante dal luogo finora comunicato. 2. Non saranno accettati, da parte di chi si offre come partecipante, durante la protesta, comportamenti di carattere sessista o peggio ancora razzista. Sappiamo che sono cose sottointese, ma a volte neanche troppo. Chiunque si renderà partecipe di atteggiamenti del genere verrà invitato a non continuare a prendere parte alla protesta.
25 GIUGNO - CENA VEGAN + PROIEZIONE
Abbiamo deciso di dedicare la giornata del 25 giugno, a partire dal pomeriggio, alla diffusione del veganismo. Dopo l'azione dimostrativa che stiamo organizzando, dalle 20:30 si terrà una cena/buffet vegan presso ll Cantiere (Via Gustavo Modena 92, Trastevere.)
Continua in questo modo la nostra promozione del veganismo attraverso la diffusione di cibo e momenti pubblici di ...condivisione in spazi sociali che rappresentano più di un semplice luogo di intrattenimento. Da oramai diversi anni il Cantiere rappresenta lo spazio di condivisione di un progetto di abitazione avviato da tanto tempo all'interno di uno dei quartieri storici di Roma, Trastevere. Diversi progetti all'interno di questo spazio si sono succeduti negli anni, dai momenti musicali (l'esperienza 'Garage') fino ad oggi dove Il Cantiere è punto di incontro principalmente per laboratori teatrali, ma anche per iniziative culturali di vario genere.
La serata sarà benefit per OCSA, il progetto che sta organizzando diverse azioni dimostrative a Roma, che distribuisce e diffonde informazione sulla schiavitù animale. Periodicamente, essendo un'organizzazione di base e non una grande associazione nazionale, abbiamo bisogno di contare sull'aiuto di chiunque può essere interessato alle nostre attività. Organizzare eventi e azioni dimostrative richiede investimento di tempo e denaro ma non solo, poter stampare del materiale di alta qualità e accessibile a tutti, permetterci di distribuirlo gratuitamente sul territorio e tramite spedizione richiede altrettanto dispendio economico che vogliamo mantenere per poter permettere a chiunque di richiedere il nostro materiale senza dover pagare. Grazie a chiunque potrà intervenire!
La serata sarà caratterizzata da un buffet/cena vegan e si concluderà con la proiezione del film BOLD NATIVE (Vocale originale e sottotitoli in italiano), preceduto da una breve introduzione su OCSA e sul film.
L'offerta suggerita per la serata è 10 EURO (pasto completo + bevanda) e se avanza cibo, bis a volontà (non si butta via nulla).
Invitiamo chiunque sia affetto da intolleranze alimentari ad avvisarci, cercheremo di provvedere ad una valida e gustosa alternativa!
IMPORTANTE: In occasione di questa serata chiediamo cortesemente di PRENOTARVI mandando una semplice email all'indirizzo 25giugno@ocsanimal.org, con l'eventuale numero di persone presenti ed entro il 23 giugno, grazie.
Trama del film BOLD NATIVE: Charlie Cranehill è ricercato dal governo degli Stati Uniti, accusato di terrorismo e di condurre un gruppo noto come 'Bold Native', attivo nella documentazione e nella liberazione di animali dai luoghi di sfruttamento. Dopo anni di azioni il progetto di Charlie è pianificare un'azione coordinata nazionale nello stesso giorno. Nel frattempo suo padre, amministratore delegato di un'azienda che distribuisce uova di galline da allevamento in batteria, cerca di trovare il figlio prima che lo faccia l'FBI. Contemporaneamente una giovane donna, che lavora per un'organizzazione per la protezione degli animali, cerca di lottare all'interno del sistema per ottenere un trattamento più umano per gli animali negli allevamenti. Tra abolizionisti e protezionisti, Bold Native affronta il problema del moderno consumo e dello sfruttamento degli animali da diversi punti di vista, in un contesto che spesso assume, con un gran bel risultato, i tipici toni di un 'road movie' americano. Realizzato in maniera indipendente e con la partecipazione di attori principalmente esordienti, Bold Native rappresenta davvero un contributo straordinario per il movimento di liberazione animale. Davvero ben fatto, con belle musiche e dei contenuti molto profondi che non possono non toccare chi lo guarderà, da chi da tempo si batte contro lo sfruttamento animale a chi viene per la prima volta in contatto con determinate tematiche. Curiosità, la presenza nel film di alcuni volti veri del movimenti di liberazione animale americano: Shannon Keith, avvocato difensore di molti attivisti (tra cui Kevin Kjonaas, l'ultimo degli Shac7 ancora in carcere per aver portato avanti una campagna pubblica di boicottaggio), Chris DeRose, attivista e fondatore di LCA (Last Chance For Animals) e Peter Young, redattore di voiceofthevoiceless.org, rinchiuso in passato in carcere per diverse azioni di liberazione in allevamenti di visoni.
Per vedere precisamente dove si trova Il Cantiere, clicca qui.
Pubblicato da Piero il 28/06/2011 alle 18:26:02, in anti caccia, letto 4671 volte
La legge imperante non è quella della polizia ma quella, illegale, dei cacciatori ciprioti. di Giovanni Guadagna, 28 giugno 2011
GEAPRESS – Aggrediti, bastonati e tenuti sotto sequestro per almeno un’ora. Questa la sorte toccata a due nostri connazionali a Cipro, vittime dei bracconieri di piccoli passeriformi. Andrea Rutigliano, responsabile del CABS (Commitee Against Bird Slaughter) e Piero Liberati collaboratore del CABS e fondatore di ValleVegan, sono stati aggrediti nel tentativo di costringerli a salire nelle macchine dei bracconieri. La Polizia ha tardato, e quando sopraggiunta ha chiesto i documenti ai nostri connazionali ed accompagnato a casa i bracconieri. Un comportamento vergognoso ma che testimonia il clima di tollerranza, per non dire connivenza, delle autorità locali greco cipriote.
Guarda questo durissimo video della TV nazionale tedesca RTL, sottotitolato in italiano:
In queste ore gli avvocati tedeschi del CABS (l’Associazione tedesca che ha sede in molti paesi, tra cui l’Italia) hanno formalizzato la denuncia direttamente alla Magistratura di Cipro, saltando, cioè, le autorità di Polizia. I reati ipotizzati sono aggressione aggravata, sequestro di persona, minacce.
I fatti sono accaduti a fine aprile nel distretto di Paralimni. Andrea Rutigliano e Piero Liberati, stavano accompagnando una troupe della tv tedesca per filmare un impianto di cattura con reti da uccellagione ed i bastoncini con il vischio. La colla, cioè, che cattura i piccoli uccelli da destinare ai ristoratori di Cipro. Erano in aperta campagna quando dalle case sono stati notati da quello che verosimilmente era il proprietario dell’impianto. L’uomo ha iniziato subito a schermirli con un bastone, avvicinandosi ed inveendo contro di loro.
“Il tipo – dice Andrea Rutigliano a GeaPress – ha poi detto che stava chiamando la Polizia, ma il tutto risultava poco credibile. Pochi minuti dopo sono arrivati dei suoi amici a bordo di un pick up“.
A questo punto le cose si mettono male (vedi video). Il pick up, appena notati i due volontari, punta diritto su di loro tentando di investirli. Il servizio della tv tedesca, nella parte finale del video allegato, mostra solo una parte di quello che è successo.
“Ci siamo trovati circondati da quattro energumeni – dice a GeaPress Piero Liberati – prima hanno aggredito Andrea. Lo hanno preso per il collo e per la testa cercando di spingerlo dentro la macchina. Poi si sono rivolti a me, riservandomi lo stesso trattamento. Stringevano sul collo e con forza. Non è stato possibile per almeno un’ora allontanarci dal posto. Ci hanno tenuto bloccati, minacciandoci“.
Tra di loro, i bracconieri, si chiamano “cumpari“, come se si fosse in Sicilia. Quel giorno era un susseguirsi di grida di “cumpari, cumpari“. Gente che apparentemente sembrava uscita di testa, ma che in effetti era molto sicura di quello che faceva. Mentre alcuni bracconieri bloccavano Andrea e Piero, altri si rivolgano alla troupe tedesca. Volevano i nastri.
“In tutto questo caos eravamo riusciti a chiamare la Polizia – aggiunge Rutigliano – C’erano state altre aggressioni, come nel campo del CABS del 2010“. Andrea, in quel caso, era stato picchiato ma l’anno successivo era di nuovo a Cipro, a Paralimni.
Quest’anno il CABS aveva organizzato il campo, volendo segnalare i bracconieri alla polizia locale. Ben quattro corpi di polizia, alcuni dei quali preposti al controllo di cacciatori e bracconieri. Ben trenta segnalazioni in pochi giorni, senza ricevere, però, alcuna risposta soddisfacente. Tempo perso, meglio iniziare subito la raccolta dei bastoncini invischiati. I volontari perlustrano armati di uno spruzzino pieno d’acqua e sapone.
Ai bracconieri il vischio conviene. L’uccellino viene raccolto ancora vivo dopo numerose ore di tremenda agonia a testa in giù. I volontari, una volta notati gli animali penzoloni, li raccolgono delicatamente ed iniziano a spruzzare la saponata che funge da solvente. Cercano di tirare, con tutta la delicatezza possibile, gli uccellini nella trappola di colla. Riescono, così, a staccarli dalla morsa mortale. Ma non sempre la trappola è rinvenuta in tempo. Se non già morti, in alcuni casi si ritrovano moribondi, con il corpo tutto impiastricciato dalla colla.
Ad essere particolarmente cacciata è la capinera, ma a rimanere nel vischio sono decine di altre specie di uccelli, tra cui gruccioni, tortore ed a volte piccoli rapaci. Il totale stimato è di non meno 800.000 animali che in pochi giorni di migrazione primaverile, perdono la vita a Cipro.
Ma l’isola divisa a metà, tra greco e turco ciprioti, sembra andare per la sua strada. Almeno nella parte greca dove particolarmente diffuso è il fenomeno dell’uccellagione. Cipro, infatti, è un’isola in vendita. I “for sale” delle casette multiproprietà tutte eguali fra loro, costruite fin dentro le baie remote ed un tempo incontaminate, sono comuni come i bastoncini invischiati. Qualcuno si sta arricchendo con la speculazione voluta dalle bramosie dei fondi di investimento internazionali. Molti di più, invece, i ciprioti in cerca di occupazione. L’uccellino da vendere ai ristoranti locali, costituisce una integrazione. Dietro le cacce di tradizione, vi è sempre, oggi, una speculazione economica. Possono essere i fringillidi della polenta ed osei o i Pillonis de Taccula del cagliaritano.
Anche a Cipro gli uccellini finiscono ogni anno nei ristoranti, appena soffritti e poi sbollentati. Alcuni li mangiano interi, testa (con l’eccezione del becco che viene spezzato) ed intestini compresi. Poi ci sono quelli in salamoia. Si chiamano ambelopoulia ed il campione di gara culinaria è un noto politico di Cipro. Non è l’unico caso di manifesta connivenza, tanto che le prime campagne anti bracconaggio con la partecipazione di stranieri, furono boicottate da noti personaggi al grido di “via il turco“. E’ lo straniero, ovvero l’eterno nemico del nord del paese, che serve a distrarre tutti, mentre una cerchia ristretta di privilegiati greco ciprioti si sta svendendo l’isola sotto colate di cemento.
A Cipro, con l’uccellagione, la situazione non è sfuggita di mano, piuttosto è sempre stata così. Le responsabilità della Polizia sono gravissime ed i campisti anti bracconaggio hanno più volte denunciato. Dalle pattuglie appositamente chiamate che non intervengono a due passi dai richiami elettroacustici accesi, ai poliziotti che si mettono a parlare con i bracconieri. Ci sono poi quelli che non ne possono più ed infine sbottano contro i bracconieri prendendosela con loro solo perchè ci sono i tedeschi (ovvero i volontari del CABS) e per oggi devono finirla. Infine quelli che identificano i nostri connazionali aggrediti, lasciando in pace i responsabili. Quest’anno parrebbe, però, essersi interessato il locale Ministero dell’Ambiente.
Il problema dell’uccellagione è diffuso in tutta la parte greco cipriota dell’isola. Quella di Cipro è un’altra adesione a convenienza nell’Unione Europea che dovrebbe imporsi per fare rispettare le sue Direttive che riguardano la protezione della fauna.
Tutto perso? No, dicono al CABS. “A Cipro ci sono associazioni molto attive, come BirdLife international, Friends of the Earth e Terra Cypria. Lavoriamo molto con loro, cercando di tessere un sistema collaborativo sia con i Ministeri che con le Forze di Polizia“. I volontari ciprioti devono combattere una realtà soverchiante, situazione del resto comune anche in molti altri posti del mediterraneo. Ora pure il vischio. Quest’anno è comparso a Ponza mentre proprio ieri le Guardie dell’ANPANA lo hanno sequestrato ad un bracconiere romagnolo.
Venerdi' 1 luglio ORE 10,30 IN L.go Goldoni (via del corso) si terra' una iniziativa di informazione e protesta per l'arresto dei 12 attivisti spagnoli per i diritti animali delle organizzazioni Animal Equality ed Equanimal. Con megafono, cartelloni e volantini saremo in prossimita' dell'ambasciata spagnola a Roma e nel centro della citta' , dove avremo la possibilita' di informare su quanto sta avvenendo in Spagna.
L'orario e giorno dell'iniziativa corrispondono con l'apertura al pubblico del consolato spagnolo al quale cercheremo di consegnare una lettera formale di protesta.
Gli attivisti sono stati arrestati il 22 giugno scorso con un'operazione che ha incluso l'uso di centinaia di poliziotti, in un'azione coordinata per criminalizzare il movimento per i diritti animali spagnolo sempre piu' crescente e sempre piu' in grado di portare a dei cambiamenti concreti per gli animali.
Queste persone sono accusate di aver liberato nel 2007 circa 20.000 visoni da un allevamento di animali da pelliccia nel nord del paese. Animal Equality e Equanimal sono due associazioni che da anni svolgono in Spagna un prezioso lavoro di documentazione e denuncia: con foto e filmati mostrano le condizioni degli animali detenuti negli allevamenti intensivi e da pelliccia e le loro sofferenze. Questi arresti pretestuosi sono dunque il risultato della pressione delle potenti lobbies degli sfruttatori di animali, le industrie della carne e della pelliccia, che tentano cosi' di fermare chi ha deciso di ostacolare pacificamente, con la sola forza delle immagini e della verita', i loro sporchi affari.
Chiediamo piu' diffusione possibile dell'iniziativa e partecipazione in nome degli attivisti a cui si vuole impedire di dare voce per conto di chi voce non ne ha, gli animali non umani.
OCSA - attivismo abolizionista per la liberazione animale
Per informazioni Email: info@ocsanimal.org Infoline: 370. 71.22.316
25 GIUGNO: IN SOLIDARIETA' CON GLI SPANISH 12
Sabato 25 giugno una cinquantina di persone si e' ritrovata per le strade del quartiere Trastevere, a Roma, per organizzare un'azione dimostrativa di sensibilizzazione sullo sfruttamento e le sofferenze degli animali uccisi dall'industria della carne. Mucche, galline, maiali, conigli, pesci: miliardi di individui sfruttati, torturati e uccisi a scopo alimentare. L'alternativa a questo sterminio è diventare vegan, uno stile di vita senza piu' sfruttare alcun animale, a cominciare dalle scelte alimentari.
Manifesti e pannelli fotografici, alcune persone sdraiate a terra coperte di vernice rossa a ricordare il massacro quotidiano di altri esseri viventi capaci di provare emozioni e sentimenti al pari di noi animali umani, mentre altre persone esponevano cartelloni sulla scelta vegan, sulla sfruttamento e sulla lotta allo specismo. Altri ancora volantinavano accuratamente Piazza Santa Maria in Trastevere, frequentata tanto da turisti stranieri quando da gente di Roma.
In sottofondo si alternavano un brano parlato che ricordava cio' che accade a milioni di individui sfruttati e un'altro con i rumori registrati di un mattatoio, dove quotidianamente e in maniera meccanica vengono ammassati, sgozzati e scuoiati (spesso ancora vivi) milioni di animali. Molte persone, italiane e straniere, si sono fermate, hanno raccolto materiale e sono state informate sulle sofferenze che in ogni settore (allevamento, pelliccia, vivisezione, caccia e pesca, circhi e zoo) l'uomo infligge agli animali.
La giornata di sabato non aveva soltanto lo scopo di denunciare il massacro quotidiano di animali e promuovere l'alternativa di uno stile di vita vegan, ma anche di esprimere la nostra piena e incondizionata solidarieta' ai dodici attivisti di Animal Equality ed Equanimal arrestati il 22 giugno in Spagna. Queste persone sono accusate di aver liberato nel 2007 circa 20.000 visoni da un allevamento di animali da pelliccia nel nord del paese. Animal Equality e Equanimal sono due associazioni che da anni svolgono in Spagna un prezioso lavoro di documentazione e denuncia: con foto e filmati mostrano le condizioni degli animali detenuti negli allevamenti intensivi e le loro sofferenze. Questi arresti pretestuosi sono dunque il risultato della pressione delle potenti lobbies degli sfruttatori di animali, le industrie della carne e della pelliccia, che tentano cosi' di fermare chi ha deciso di ostacolare pacificamente, con la sola forza delle immagini e della verita' , i loro sporchi affari.
Le prime foto sono disponibili sul nostro album Flickr, quanto prima ne verranno aggiunte altre: www.flickr.com/photos/ocsanimal/sets/72157626927544789/
Sara' presto disponibile anche un video dell'azione dimostrativa.
LIBERTA' PER GLI SCHIAVI. LIBERTA' PER GLI SPANISH 12. GO VEGAN.
OCSA - attivismo abolizionista per la liberazione animale
COMUNICATO UFFICIALE RIGUARDO AI 12 ATTIVISTI PER I DIRITTI ANIMALI ARRESTATI IN SPAGNA E ALL'APPELLO PER VENERDI' 24 GIUGNO COME GIORNATA INTERNAZIONALE DI SOLIDARIETA'
Dodici attivisti per i diritti animali sono stati arrestati questa mattina dalla polizia spagnola, con una serie di irruzioni promosse dal giudice magistrato incaricato delle indagini a Santiago de Compostela, in Galizia (Spagna).
Arresti e perquisizioni sono avvenute nelle case di attivisti delle organizzazioni Igualdad Animal/Animal Equality ed Equanimal nelle zone di Madrid, Asturia, Vizcaya e Galizia.
Quelli arrestati sono stati portati a Santiago de Compostela, dove sono state formulate le accuse di reati contro l'ambiente, disordine pubblico e associazione a delinquere. Il punto di partenza delle indagini sembrerebbe essere la liberazione di circa 20.000 visoni avvenuta nell'allevamento Visones Bermudez, a Santiago de Compostela, nel novembre del 2007. In base a questo è stato formulato il reato di danno all'ambiente.
Entrambe le organizzazioni hanno condannato pubblicamente la privazione della libertà , la tortura e il massacro di circa 300.000 visoni ogni anno in Spagna.
Questi arresti rappresentano un chiaro attacco dell'industria della pelliccia agli attivisti animalisti per aver esposto gli orrori della pratica degli animali uccisi con il gas, le mutilazioni, la sofferenza indotta dal vivere in cattività negli allevamenti. Questo due organizzazioni che defiscono chiaramente il loro attivismo come non-violento e che dedicano i loro sforzi per far aumentare l'attenzione pubblica sui diritti animali, informando la società sulle conseguenze del consumo di prodotti animali e la promozione di valide alternative. Inoltre, nonostante le organizzazioni non siano coinvolte nelle liberazioni di visoni, non condannano questo tipo di azioni poichè difendono gli interessi di tutti gli animali indipendentemente dalla specie e nessuno dei visoni sfruttati dall'industria pelliccia merita di vivere e morire in un allevamento.
Poichè non ci sono responsabili per le recenti liberazioni di visoni avvenute in Spagna, diversi membri di Equanimal e Igualdad Animal/Animal Equality sono stati arrestati con l'intento di criminalizzare il movimento per i diritti animali in Spagna, così come già accaduto in altre nazioni. Le 'lobbies' dello sfruttamento animale e le potenti multinazionali vogliono ostacolare il movimento animalista spagnolo e ciò che a cui stiamo assistendo è repressione.
Equanimal e Igualdad Animal/Animal Equality hanno tenuto due conferenze in contemporanea oggi 22/06/11 alle 20.00 a Madrid e Barcellona, in maniera tale da leggere un comunicato in risposta agli arresti dei dodici attivisti.
Oggi, giovedì 23 giugno, proteste pacifiche si terranno a Madrid e Barcellona, per dar possibilità a chiunque è contrario a questi arresti di mostrare il proprio sdegno verso ciò che è accaduto e dare solidarietà agli attivisti detenuti.
Per venerdi' 24 giugno lanciamo un appello per una giornata internazionale di solidarietà per gli attivisti spagnoli.
Per favore prendete in considerazione una protesta di fronte alle ambasciate spagnole e nel centro della città venerdì 24 giugno per supportare gli attivisti!
Qui c'è una lista completa di ambasciate e consolati:
Per favore mandate resoconti e foto a info@animalequality.net, in modo tale da pubblicarle sul nostro sito.
Il supporto internazionale è estremamente importante per le vittime della repressione.
Mostrate la vostra solidarietà , scendete in strada!
Presto sarà disponibile il sito di supporto per le persone arrestate.
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Mail per l'Italia:
Emb.Roma@maec.es,
roma@tourspain.es,
milan@tourspain.es ,
cog.roma@maec.es,
cog.milan@maec.es,
cog.napoles@maec.es,
info@camacoes.it
Aggiornamento sui 12 arresti in Spagna
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Gli attivisti non ricevendo un menù vegan sono entrati in sciopero della fame. tre sono presso la caserma della guardia civil di santiago di compostela e gli altri/e a a la coruna, sono tutti/e isolati e senza comunicazione con l'esterno e sono in celle molto piccole (4mq) come accade sempre prima di comparire davanti al giudice. L'accusa è relativa alla liberazione di 20.000 visoni di un allevamento a santiago realizzata nel novembre del 2007, presupponendo un danno ambientale. il fatto è stato attribuito ad anonimi, afferenti all'ALF.
AGGIORNAMENTO SITUAZIONE ATTIVISTI ARRESTATI
sito di supporto aggiornato: https://thespanish12.wordpress.com/
3 persone sono state rilasciate ma 1 ragazza di Equanimal è stata mandata in carcere in attesa del processo.
oggi ci saranno gli interrogatori di altri.
qui la pagina del gruppo di supporto con foto da tutto il mondo delle proteste, fa un bell'effetto vedere tale reazione a pochi giorni:
SPANISH 12: ULTIMO AGGIORNAMENTO ED INDIRIZZI DEGLI ATTIVISTI DETENUTI pubblicata da OCSA - Organizzazione Contro la Schiavitu' Animale il giorno mercoledi' 29 giugno 2011 alle ore 18.25
Il gruppo che sta lavorando alla Campagna Internazionale contro la Repressione del Movimento per i Diritti Animali in Spagna desidera esprimere la più profonda gratitudine per tutti i gesti di solidarietà e le iniziative che si sono tenute negli ultimi giorni da mercoledi' 22 giugno, quando agenti della polizia spagnola - molti con passamontagna e mitragliatrici - sono entrati nelle case di 12 attivist*, principalmente delle organizzazioni Equanimal ed Animal Equality, così come in casa di due madri di attivisti, per eseguire degli arresti e sequestrare materiale.
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Dopo un'udienza alla Corte di Santiago de Compostela e tre giorni passati senza possibilità di comunicare, sabato 25 giugno, tre dei nostri amici sono rimasti in carcere in custodia, mentre gli altri sono stati rilasciati su cauzione e con le pesanti accuse formalizzate. Da quel momento siamo stati continuamente al lavoro dedicandoci alla situazione dei nostri amici detenuti, per poter ottenere il prima possibile che tornino in liberta', nonche' all'organizzazione di una campagna di supporto e contro la repressione che ci ha colpiti. Repressione che minaccia chiaramente il movimento per i diritti animali, includendo ogni singolo attivista che si ritiene parte del suddetto movimento.
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Negli ultimi giorni abbiamo avuto la certezza che i nostri amici ricevano un equilibrato vitto vegan, mentre continuano ad essere privati della loro libertà .
Abbiamo inoltre formato un network che possa riuscire a dare costante supporto per venire incontro a qualsiasi cosa di cui abbiano bisogno, incluso prima di tutto che i familiari siano a conoscenza di come stanno.
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Vi informiamo che potete scrivere* ai tre attivisti, questi sono gli indirizzi:
Tutte le lettere saranno lette dal personale carcerario. Non includere soggetti inappropriati. Includere i dettagli del mittente o la vostra lettera non sara' inoltrata. Non includere graffette o puntine metalliche, solo carta o cartoline. Non offendetevi se non si ricevete fin da subito una risposta, e' possibile che essi ricevono una grande quantita' di posta giornaliera, perciò abbiate pazienza. Mantenete un tono positivo. Ricordate che per i prigionieri le vostre lettere sono una dimostrazione di sostegno per ricordare loro che non sono soli e che ci sono molte persone fuori che si occupano di loro.
Nonostante la comprensibile rabbia ed indignazione che sentiamo a causa di questa ingiustizia è fondamentale per noi non prendere decisioni affrettate, ma agire in prospettiva ed intelligentemente, in una maniera coordinata per far si che non avvengano determinate azioni che potrebbero avere ripercussioni negative per i nostri amici attualmente in carcere. Vi chiediamo di essere anche comprensivi, negli ultimi giorni abbiamo dovuto risolvere diversi problemi di comunicazione, dal momento che la polizia ha sequestrato computer, telefoni e contatti.
Abbiamo attualmente bisogno di persone che riescano a donarci portatili in maniera tale da continuare a lavorare per gli animali, cosi' come per i nostri amici attualmente in carcere e se pensate di poterci aiutare in tal senso, contattateci il prima possibile.
Le nostre priorita', usciti dalla caserma della polizia, sono state contattare degli avvocati specializzati per poter chiedere il rilascio dei nostri amici il prima possibile, contattare giornalisti che siano interessati a divulgare notizie sul nostro caso, cercare informazioni su episodi simili di repressione che sono accaduti nel nostro paese, valutare vantaggi e svantaggi di comunicare alla societa' (e ai media) determinate informazioni. Infine valutare il metodo migliore per realizzare tutto cio'.
Durante quest' ultima settimana il supporto nazionale ed internazionale e' aumentato, sta crescendo giorno dopo giorno, con oltre 20 nazioni che hanno già realizzato proteste in solidarieta' con gli attivisti. Stiamo anche cercando di chiedere il supporto del musicista vegan Moby, in maniera tale che faccia una dichiarazione pubblica di supporto per gli attivisti durante il suo prossimo concerto a Vigo, giovedi' prossimo.
Potete scrivere per far presente questa richiesta all'email: info@moby.com
oppure scrivendo sul suo account di Twitter: @thelittleidiot, sulla sua pagina di facebook: Facebook.com/mobymusic
oppure commentando sulla pagina dell'evento creata sempre su Facebook per il festival di Vigo:
Please would you be so kind as to read the following information
attached below. It is vital for the freedom and lives of animal rights campaigners in Spain and the non-human animals they defend. I would also like to respectfully ask you to consider reading out the attached statement in solidarity at your next concert in Vigo (Galicia, Spain).
Some friends will be sending you the following material: a DVD with some videos of the kind of activism carried out by the organisations involved, and a campaign t-shirt ; it would be very helpful for us if you wear it even just for a few minutes during your show if you are in agreement. Thank you so much for your consideration.
Kind regards,
[Vostro Nome]
PS: If this message reaches you, please confirm via the following phone
Sul sito www.HelpARPrisonersSpain.org troverete presto aggiornamenti, informazioni sul caso e sugli attivisti detenuti, materiale per iniziative pubbliche come cartelloni, volantini, comunicati e banners, nonchè i diversi modi per aiutarci e tutte le informazioni corrette sulla campagna in corso. Nel frattempo ci piacerebbe che riusciste a partecipare a diverse proteste che si stanno tenendo quotidianamente in Spagna, cosi' come in tutto il mondo.
Abbiamo urgente bisogno di fondi per coprire i sempre piu' crescenti costi che dovremo affrontare. Potete fare una donazione direttamente, oppure organizzare un concerto benefit, fare torte, vendere materiale usato, proiezioni o qualsiasi altra attivita' di sostegno finanziario.
Le donazioni possono essere versate sul seguente conto:
Banco Santander
0049 1759 58 2990022193
Numero di conto internazionale (IBAN):
IBAN ES5300491759582990022193
Oppure con Paypal versando sul seguente indirizzo email:
info@SolidaridadPresosPorLosAnimales.org
Supportate la Campagna Internazionale contro la Repressione del Movimento per i Diritti Animali in Spagna!
Grazie!
Sito Equanimal: www.Equanimal.org
Equanimal su Facebook: www.Facebook.com/equanimal.org
Sito Animal Equality: www.animalequality.net
Animal Equality su Facebook: www.Facebook.com/animalequality
Sabato 23 luglio 2011 il Canile Comunale di Roma Muratella aperto dalle 10 a tarda notte
“Portami via con te” sotto le stelle
A Muratella, cani e gatti liberi contro la schiavitù animale
Adozioni, cucina vegana, proiezioni e musica: torna a Roma l’Adoptathon Day di AVCPP
ROMA – Per il quinto anno consecutivo, l’Associazione Volontari Canile di Porta Portese promuove a Roma un Adoptathon Day all’insegna delle adozioni dei cani e dei gatti ospiti dei canili comunali di Roma e di una cultura amica della vita e dell’amore.
Grazie ad OCSA – Organizzazione Contro la Schiavitù Animale e alla Fondazione ValleVegan, infatti, quest’anno il tema della giornata non saranno solo le adozioni e la cultura vegana che insegna a non uccidere o sfruttare nessun essere animale per alimentare l’essere umano. A Muratella andrà in scena anche il più ampio dibattito su come si può armonicamente convivere in un pianeta dove sia bandita ogni forma di schiavitù animale. Nel corso della giornata, dopo 7 ore dedicate alle adozioni e dopo un aperitivo ed un buffet interamente vegani, saranno proiettati filmati di sicuro impatto emotivo sui quali riflettere e per i quali discutere, perchè un altro mondo è possibile. Un mondo libero da ogni gabbia, da ogni forma di sfruttamento, ogni forma di schiavitù. Musica e dj set sotto le stelle a conclusione della giornata.
Il ricavato della pesca, della riffa, della distribuzione di gadget e magliette, del buffet a sottoscrizione andrà interamente a confluire nel “Fondo Donazioni Specifico per le Spese Sanitarie presso i canili comunali di Roma” che consente ad AVCPP di farsi carico – dal novembre del 2008 – di quanto le ASL romane non riescono a garantire per la cura dei circa 2100 cani e gatti che ogni anno entrano nei canili romani.
L’ingresso è libero ma per evitare inutili sprechi è richiesta la prenotazione al 340 4556511
L’Associazione Volontari Canile di Porta Portese – AVCPP e l’Organizzazione Contro la Schiavitù Animale – OCSA presentano sabato 23 luglio 2011 la giornata dell’Adopthathon nel Canile Comunale Muratella, dalle 10 del mattino fino a notte.
Durante il giorno (dalle ore 10 alle ore 17) la struttura sarà aperta per permettere le adozioni dei cani e dei gatti presenti. A seguire aperitivo, buffet vegan a sottoscrizione, riffa e pesca, mostra fotografica, proiezione di video sulle tante forme di sfruttamento animale e, a chiudere, dj set e musica.
PROGRAMMA
dalle 10 alle 17 apertura al pubblico per le adozioni di cani e gatti
dalle 18.30 alle 19.30 aperitivo
dalle 19.30 alle 21.00 riffa
alle 21 buffet vegan a sottoscrizione (senza alcun alimento che comporti lo sfruttamento, la sofferenza e la morte di animali)
a seguire proiezione filmati e dj set
Per evitare sprechi vi preghiamo di confermare la presenza al 340 4556511
Il coro polifonico Zenzerei per la Fondazione Vallevegan! Il 12 febbraio a San Lorenzo, Roma.
Vi aspettiamo insieme al coro Zenzerei diretto da Laure Gilbert, con canti popolari dal mondo in polifonia, dalle ore 20 presso il ristorante SoulKitchen in via dei Sabelli 193,... nel quartiere di San Lorenzo.
Con la partecipazione del pittore Andy De Paoli che eseguirà ritratti a richiesta.
Tutt'insieme, durante la cena vegan (cioè senza ingredienti di origine animale), preparata da uno chef speciale, discuteremo del metodo dell'orto sinergico, dei campi anti caccia e di altro ancora.
Prezzo della cena e concerto è di 15 euro, che andranno in supporto del rifugio per animali liberi della Fondazione no-profit Vallevegan, a 6 anni esatti dalla sua creazione.
GEAPRESS – Dodici giorni sotto la tormenta. Isolati. Tra i fiumi e le valli di Bellegra e Rocca Santo Stefano. Ad un' ora da Roma, ma sommersi dalla neve. Valle Vegan, luogo di natura e di libertà, ispirata all’antispecismo e alla liberazione animale, ma anche luogo di riscatto dai precedenti usi. Ovvero allevamento, caccia e macellazione. Un luogo d’incanto che diventa realtà.
Poi la tormenta ha sopito tutto. Momenti belli, nonostante ciò, ma anche apprensioni. Specie per i tanti abitanti, pennuti e pelosi, che per lunghi giorni hanno vissuto in beata tranquillità, ignari delle preoccupazioni dei tre attivisti rimasti a lume di candela.
Lunghissime camminate tra la neve e poi, quando la macchina dei soccorsi finalmente si è messa in moto, l’arrivo dell’elicottero del Corpo Forestale dello Stato. Cibo per tutti. Animali umani e non. Quanto è bastato per arrivare fino a tre giorni addietro, quando finalmente a Valle Vegan è arrivata la corrente elettrica. Sei chilometri di strada che separano dal paese più vicino. Due di questi, ancora oggi, bloccati dalla neve. . . VIDEO . .
Ma come hanno vissuto per dodici giorni tre persone, 11 maiali, 10 capre, varie pecore, cani, conigli, oche ed altri scampati dai maltrattamenti dell’uomo?
“Noi molto bene, con momenti anche belli attorno al fuoco con una tisana calda – riferisce a GeaPress Piero Liberati di Valle Vegan – Poi, dopo qualche giorno, è arrivato un elicottero. A bordo c’era un equipaggio interforze. Forestali, carabinieri e poliziotti. La sorpresa più grande è stata quando abbiamo visto scritto negli scatoli “cibo vegan”. Ci hanno poi detto che a sottolinearlo erano stati gli abitanti dei paesi attorno. Si erano preoccupati per noi e si sono anche preoccupati di sottolineare che siamo tutti vegani“.
Poi un successivo passaggio. Un secondo elicottero con a bordo sempre un equipaggio interforze. Questa volta il cibo era veramente per tutti. Fieno, granaglie, crocchette per cani.
“In realtà non eravamo molto preoccupati per noi – spiega Piero Liberati – anche se ci ha fatto molto piacere sapere che le persone, in quei giorni di totale isolamento, si erano interessate. Per lo stile di vita che abbiamo scelto siamo autosufficienti, ma per tutti gli altri che vivono a Valle Vegan le cose sono diverse. E’ crollato il tetto del recinto di due galli e dei conigli. Per i cani, le capre, gli stessi maiali abbiamo dovuto faticare non poco, ma l’elicottero ha poi rimesso tutto a posto “.
Prima, però, sei chilometri a piedi sotto la tormenta. Poche persone, ognuna con in spalla 25 chili di cibo. Strada sommersa da un metro e mezzo di neve e visibilità molto ridotta. Non sono mancati momenti di apprensione, come le cadute anche rovinose. Almeno per ora, però, la strada è tornata in parte praticabile.
Nel sito web di Valle Vegan, una traccia di quanto successo. La cena benefit, è rinviata “causa maltempo”. Valle Vegan è però aperta, ancor di più adesso, per chi volesse dare una mano. Nei prossimi giorni ci sarà parecchio da fare anche se già qualcosa, nei momenti di intenso freddo, è stata costruita. Casette. Ma proprio tante casette. Per i pettirossi (c’era pure un giovane, ci spiega Piero) cinciarelle, merli, cornacchie, scriccioli, e poi il codirosso (spazzacamino, sottolinea sempre Piero), la ballerina bianca e altri passeriformi arrivati all’improvviso in cerca di un ricovero.
Valle Vegan, dagli abitanti del posto, è ben voluta. Siamo certi che due chilometri di strada da percorrere a piedi, per chi vorrà rimboccarsi le maniche e andare a dare una mano, non saranno un impedimento. Pettirossi, pecore, cinciarelle, galline e Bastian (il maiale un po’ raccomandato, fatto entrare in casa), ringraziano anticipatamente.
Pubblicato da Piero il 21/03/2012 alle 15:16:33, in anti caccia, letto 5163 volte
All’isola del Giglio è bello smarrirsi, perdersi passeggiando e guardando un mare stupendo che accarezza le coste, perdersi nei borghi; la chiamano l’isola dei velieri, dove la tradizione del mare si arrampica sulle rocce e sui pendii. Ma questo posto d’incanto nell’Arcipelago Toscano, è il luogo di un efferato bracconaggio tutto l’anno. Pochi giorni fa un gruppo di 20 volontari, coordinati da Piero Liberati, Fondatore di Vallevegan, ha trascorso qualche giorno nell’isola dedicando notte e giorno all’attività di antibracconaggio. Il campo di quest’anno è stato volutamente definito “didattico” per formare persone che siano capaci di gestire e affrontare campi più impegnativi come quelli di Ponza, Malta, Cipro, le valli bresciane ed il cagliaritano.
VIDEO IN VERSIONE INTEGRALE
L’isola del Giglio nasconde un oscuro e reiterato bracconaggio, fatto di trappole e di strumenti di tortura per piccoli animali che vengono spietatamente uccisi tutto l’anno. Le trappole in questione sono cappi di acciaio nei quali rimangono inesorabilmente bloccati ed uccisi i conigli, addirittura girava voce che il coniglio cacciato di frodo si vendesse illegalmente a 10 euro al chilo! Quindi approfondendo l'informazione ho scoperto che il coniglio selvatico è una "prelibatezza" dell'isola, che molti ristoranti lo hanno nel menu, come il ristorante Da Maria a Giglio Castello, viene anche citato sul sito Borghitalia.it, dove scrivono: "Suggeriamo il coniglio selvatico alla cacciatora, cucinato con pomodoro, spezie che crescono nel fitto della macchia mediterranea e un po’ di peperoncino (www.borghitalia.it/html/borgo_it.php?codice_borgo=545 e link in basso*). Ci sono poi le cosiddette “schiacce”, grandi pietre che vengono posizionate sollevando la sommità con un bastoncino e sotto le quali muoiono schiacciati piccoli roditori e finanche uccelli, attirati da un a piccola esca.; ci sono poi le Sep, piccole trappole con un meccanismo a molla, che sono utilizzate per i passeriformi. Le trappole in Italia sono severamente vietate, sono un metodo non selettivo di cacciare, fuori periodo di caccia soprattutto. Sono stati avvistati anche appostamenti di caccia che non venivano rimossi, quindi presumibilmente utilizzati anche fuori stagione. Chi posiziona le trappole sono spesso piccoli coltivatori della zona, con regolare permesso di caccia, che si giustificano dichiarando le trappole il metodo migliore per difendere i loro orti; alcuni vigneti dell’isola sono considerati di pregio e assai rari, producono un vino rinomato e spesso il giustificativo all’attività costante di frodo è quello di “proteggere” il vanto dell’isola.
La cosa suona come un sospetto tentativo di dare la spiegazione più banale ad una sporca ed evidente caccia di frodo. Nei giorni di attività le trappole scovate sono state centinaia, decine i conigli trovati morti intrappolati, a volte scheletriti; le trappole infatti vengono posizionate e “dimenticate”. Negli anni la situazione è notevolmente peggiorata, da che se ne trovavano raramente e nell’ordine di un centinaio al giorno, si è passati ad almeno 300, tra cappi, schiacce e sep. La Forestale ha un presidio fisso sull’isola ma evidentemente non si occupa del bracconaggio; prova ne è la sfacciata presenza di trappole anche visibili dalla strada che vengono ignorate; la Guardia Forestale presidia l'isola senza intervenire in una situazione tanto grave, presidiano ed osservano le attività dei volontari, questa è la realtà. L’antibracconaggio è una attività intensa tutto l’anno, soprattutto nelle piccole isole: Capri, Ponza, le pelagie ed il Giglio, dove la “tradizione” della caccia di frodo è una realtà mai sopita e per la quale i cacciatori-bracconieri diventano aggressivi e pericolosi, arrivando ad aggredire i volontari. Notizia infatti delle ultime ore: un volontario presente sull'isola per un successivo campo antibracconaggio, è stato aggredito da un bracconiere con una pala e portato al Pronto Soccorso, se la caverà con sei giorni di prognosi; in questo caso la Guardia Forestale è intervenuta, vista la gravità dell'episodio, è chiaro che servano atti criminosi palesemente illegali per far sì che un'Istituzione faccia il suo dovere.
I campi vengono totalmente gestiti da volontari autofinanziati: si acquista materiale per filmare, attrezzature per l’osservazione, ci si paga le spese di vitto ed alloggio. In particolare il campo dell’isola del Giglio è nato proprio da una idea di Piero Liberati e del suo amico attivista Marco Arceri, quando nel 2008 erano alla ricerca di isole che si trovassero su rotte migratorie importanti, il Giglio era un’ isola “vergine” in fatto di attività antibracconaggio; quando Piero e Marco si trovarono sull’isola però si resero conto delle attività di frodo che avvenivano, non nei confronti degli uccelli, ma dei conigli che venivano e vengono cacciati tutt’ora in maniera costante ed illegale.
Dal 2010 al 2011 i campi sull’isola sono stati organizzati da altre associazioni e quest’anno Vallevegan è tornata al Giglio pensando di trovare una situazione migliorata, visto che la presenza costante dei volontari durante i periodi primaverili era diventata un deterrente per i bracconieri, ha avuto purtroppo l’amara sorpresa di rivelare una situazione disastrosa di abbandono e mancanza di attenzione,
Alcuni numeri delle trappole rimosse in 4 giorni di attività, per dare un’idea:
1500 lacci per conigli, principalmente intorno agli orti;
120 schiacciate per passeriformi, che loro spacciano trappole per roditori, ma sono stati filmati e fotografati uccelli nei pressi delle trappole, ciò rende evidente che le esche servissero per attirare non certo topi;
alcuni lacci per mufloni;
Sep per gli uccelli e veleno per topi, ovunque sull’isola.
La perplessità nasce laddove tutto ciò avviene addirittura in un Parco Nazionale, del quale per anni è stato presidente Mario Tozzi, il geologo e conduttore televisivo, il quale pur sapendo quale losca attività illecita si consumasse sul suolo del Giglio, non ha mai supportato le attività di antibracconaggio, considerandole forse di poco conto; oltretutto Tozzi possiede anche una casa sull’isola. Adesso da ex presidente del parco grida allo scandalo quando si parla del naufragio della Costa Concordia, affermando che da tempo dichiarava la pericolosità della vicinanza delle navi alle coste. Certo, ora che il mastodontico relitto della Concordia è coricato, accasciato sul fianco di una lussuosa ma derelitta apparenza, là in attesa di essere rimossa, chissà quando, e ricorda le incoscienti quanto inutili “performances” di una società votata al lusso, si grida contro un fenomeno, si urlano i pericolo della fuoriuscita del carburante che potrebbe avvelenare irrimediabilmente il mare circostante. Ma gridare contro l’uccisione di migliaia di animali l’anno, nella più completa illegalità, sul suolo di un Parco protetto, potendo immaginare cosa succede in altri luoghi non canonicamente definiti “parchi”, questo no, non si è mai fatto; indignarsi per il veleno del bracconaggio no, questo non si è mai fatto. Addirittura ho letto un suo intervento riguardo specie a rischio bracconaggio come l’Orso Marsicano, ma sul bracconaggio sulla sua isola non sono riuscita a trovare nulla. E’ compito allora di gente coraggiosa che affronta anche lo sdegno ed il “fastidio” degli abitanti dell’isola, che urlano ai volontari di vergognarsi, di essere vagabondi, di tornare a casa lasciandoli alle loro illecite attività ed addirittura di finire come gli animali morti nelle trappole. Cosa pensare allora di questa Italia? Che è un’Italia di cacciatori e bracconieri, che praticamente è la stessa cosa; un’Italia dove la legalità è un privilegio e purtroppo non solo per gli umani. Marzo ormai assume il significato dell’inizio di un’altra stagione, chiusa quella della caccia si apre quella del bracconaggio, visto che cacciare 4 mesi l’anno è poco per uno sport tanto divertente! La caccia è un diritto che viene difeso, anche quando si pratica illegalmente, questo mi viene da pensare. Mi consolo con l’episodio che Piero Liberati mi ha raccontato del coniglio fortunato scampato ad una trappola e portato in salvo con un taxi in una zona dove potesse tornare libero, e come lui altri conigli e creature che fortunosamente si sono trovate quel giorno nel luogo dove persone coraggiose rinunciavano al sonno per “ripulire” dal degrado un’isola meravigliosa, sporcata dalla crudeltà della caccia.
Per chi volesse contribuire a finanziare i campi antibracconaggio può utilizzare come riferimento il Cabs ( Committee Against Bird Slaughter), organizzazione che si occupa della difesa della fauna selvatica, uccellaggione, ed organizza campi antibracconaggio in tutta Europa, visitando questa pagina http://www.geapress.org/cabs/.
Abbiamo la possibilità e l'esperienza per ospitare maiali come compagni di vita nel nostro rifugio, rispettandone le loro esigenze biologiche e senza che venga fatto loro del male. Siamo vegani, quindi non utilizziamo in alcun modo alimenti e prodotti di origine animale. Contattaci, inviandoci i tuoi dati, per avere informazioni tramite la mail attivismo@vallevegan.org o telefono 3294955244. Il servizio è chiaramente a pagamento come una vera e propria pensione temporanea o vitalizio. Altre indicazioni (statuto, luogo, attività) sono su questo sito.
Finalmente abbiamo una bozza di ambulatorio; lindo, casto e puro! Abbiamo realizzato più progetti in due persone, senza soldi, in pochi mesi (in questo caso soli due giorni!) che...
Riutilizzando materiale riciclato e, soprattutto, una vecchia stanza dismessa, trovata così com'era, abbiamo creato un ambiente facilmente lavabile dove ospitare animaletti appena recuperati e fare una piccola degenza e un primo soccorso. Tutto questo senza dimenticare che ogni animale passa prima, durante e dopo da un vero studio veterinario.
Editoriale pubblicato sul bollettino primaverile del CABS (Committee Against Bird Slaughter) - 2012
di Maria Teresa de Carolis
Raccontare se stessi è impresa difficile, a volte sotterranea e faticosa; raccontare un amico è un viaggio verso un’ isola, verso le stelle, verso un mondo diverso fatto di curiosità e conoscenza. Raccontare Piero vuol dire sistemare nella mia testa tutto ciò che ricordo: i campi antibracconaggio, i suoi trascorsi, le sue imprese, le telefonate fugaci o gli sms brevi e pericolosi, perché mi mettono in allarme. Voglio mettere ordine a questi ricordi, raccontando qualcosa, brevi appunti di recenti vicende.
Quando si parla di campi antibracconaggio, ad alcuni – forse - potrebbe venire in mente una sorta di campeggio naturalistico, un’attività di osservazione e monitoraggio, magari con lanterne nel buio dell’alba o con cannocchiali e fotocamere all’avanguardia. In realtà un campo antibracconaggio non è fatto solo di questo, ma di appostamenti, di fughe, di soste nella notte al freddo, nascosti dietro cespugli. È fatto di pedinamenti e investigazioni.
Da oltre 10 anni Piero Liberati, amico… praticamente fratello, compie salti, blitz, corse tra le isole del mediterraneo, e non solo. Ponza, luogo strategico per gli uccelli migratori, è ormai il punto chiave di campi ed attività. Le specie più cacciate a fucilate sono quaglie e tortore ma nelle trappole cadono piccoli passeriformi tra cui monachelle, balie, pettirossi, stiaccini. Ponza vessata dalla ignoranza e dalla prepotenza. Nonostante la ferocia del bracconaggio che affligge l’isola, Ponza è anche un luogo di infanzia e ricordi, quando Piero accompagnava sua madre, insegnante di lettere, sull’isola e già allora osservava il cielo, rapito dalla bellezza della natura, dal mare che lambiva le rocce e dagli uccelli che coloravano l’aria. L’ improvvisa nevicata del gennaio 1985 è un ricordo vivido al quale Piero associa i suoi viaggi per raggiungere l’isola. Vista dal traghetto l’isola di Ponza è un insieme meraviglioso di vegetazione e rocce, un punto nel mare, un’oasi accogliente e profumata; ma come purtroppo a volte accade, la bellezza cela infamie e degrado, nasconde crudeltà ed illegalità: Ponza è l’isola incantevole dove si spara tutto l’anno, dove i bracconieri, spesso con regolari permessi di caccia, nascondono le armi nelle grotte, recuperandole all’alba, dirigendosi nell’oscurità della macchia, aspettando volatili nel buio. È l’isola delle trappole, dove gli orti nascondono gli inganni, dietro piantine di fave o cumuli di erbacce che fanno da fortino per qualche schiaccia. E solo nella notte gli inganni possono essere svelati.
I richiami elettrici scattano sempre alla stessa ora e fanno da eco agli insetti che ignari cadenzano col loro canto l’inizio del giorno. Ponza, che inonda di fragranze la notte, è macchiata dalla ferocia dei “soliti”. Nel 2005 Piero, insieme alla sua compagna e volontaria, andò a parlare con il Preside della scuola Media, tesserato ad una associazione ambientalista; seguì una illuminante cena con altri professori con i quali si concordò un incontro per i ragazzi, durante il quale si parlò del bracconaggio e dei danni gravissimi che esso produce. Fu un’azione coraggiosa: molti di quei ragazzi probabilmente avevano un genitore o un parente cacciatore in casa e quindi la prospettiva dalla quale guardare quella “tradizione” poteva finalmente cambiare. Una professoressa, in seguito, riuscì a scovare quattro trappole in una zona dell’isola. La scuola, dunque, come punto di partenza per la coscienza di futuri adulti, che guardano con occhi diversi la fauna dell’isola, diventata un luogo da proteggere e non da violare. In questo panorama i blitz sono il pensiero ricorrente di Piero, costituiscono la forte tenacia nello scovare i bracconieri.
Ricordo il campo del maggio dell’anno scorso, al quale partecipai e soprattutto le fughe dai bracconieri che ci inseguivano nella notte, le camminate interminabili al buio affinché nessuno ci potesse vedere, i chilometri in salita per arrivare alla Piana d’Incenso, dove la nostra presenza sarebbe stato il deterrente migliore per disarmare quegli individui assetati di sangue. Ogni anno la determinazione e la presenza costante si rinforza.
Quest’anno Ponza è stata una meta ricorrente; la notte tra il 10 e l’11 marzo una corsa in macchina ed un fugace appostamento notturno: Piero, Antonella, Marco e Susanna, attivisti del CABS Italia, per scovare quattro luoghi con trappole, di cui uno mai individuato prima. Quando questo succede le informazioni vengono comunicate tempestivamente al Corpo Forestale.
Dal primo al 5 aprile, Piero e Andrea sono tornati sull’isola, i loro metodi “segreti” hanno dato frutti inaspettati: l’individuazione e successiva denuncia di cinque trappolatori e l’incontro fatale con il peggiore bracconiere dell’isola, lo stesso che l’anno precedente aveva inseguito e percosso due volontari, di cui uno minorenne (mio figlio). Il tipo, che chiameremo “Il Losco”, passeggiava col suo fucile in spalla, all’alba di un giorno qualunque – non in periodo venatorio - ; quel giorno qualunque è diventato il palcoscenico di un’ azione brillante, catturato infatti dagli sguardi di Piero e Andrea, il bracconiere è stato “incastrato” ed affrontato alle prime luci dell’alba. Naturalmente i “coraggiosi bracconieri” non sono mai soli, hanno sempre qualche amico nei paragg, che li possa assistere nell’eventualità di essere scoperti. Altri quattro compari, infatti, sono subito accorsi, tra cui un improbabile quanto grottesco Dj trash dell’isola. In questa circostanza Piero e Andrea hanno sperimentato le loro doti migliori di diplomazia e sangue freddo , affrontando i bracconieri con calma e controllo. Naturalmente un’azione di tale successo ha spinto Piero ed Andrea, insieme ad altri volontari italiani del CABS, Stefano e Fabio, ad andare oltre: perché non recarsi ad Ischia, dove i campi antibracconaggio negli ultimi anni erano stati meno intensi?
Così anche quest’isola diventa meta di appostamenti. Ischia è una piccola isola ai confini col Golfo di Napoli, isola splendida che nella mente di Piero chissà quali oscurità nascondeva. Appena arrivati Piero ed Andrea sono stati accolti da alcuni volontari di una associazione partner del CABS: Lina e Luigi, attivisti ed esperti del territorio, preziosi aiuti per le incursioni. Gli obiettivi di un campo sono sempre gli stessi: scovare trappole, reti da uccellagione e luoghi di appostamento dei bracconieri.
Le “Ischitane” sono trappole che prendono il nome dall’isola, piccoli congegni di ferro fatti a mano, armati con una camola e pronti a scattare in maniera letale alla prima beccata di un uccellino. Durante la sosta ad Ischia ne sono state individuate 150 e, per la prima volta, sono state trovate anche due maxi trappole, pericolose anche per l’uomo, probabilmente usate per la cattura del coniglio selvatico. Un bracconiere, che per anni esercitava il suo “potere” senza mai essere scoperto, soprannominato “O’ Tossico”, è stato individuato e denunciato. La costanza premia, si sono rinvenuti due bauli per fucili murati in una roccia e centinaia di cartucce pronte all’uso. E’ un lavoro di pazienza, dove la presenza e l’attenzione portano a sicuri risultati.
Ischia è così [ri]entrata ufficialmente nel gruppo di isole dove i campi antibracconaggio sono l’obiettivo per l’osservazione di un fenomeno da controllare e combattere. Dall’anno prossimo, infatti, si organizzeranno campi strutturati con volontari e date precise. Ponza rimane comunque il luogo di attenzione costante, dove la presenza dei volontari è una tradizione. Recentemente Catia della LAC, ha organizzato una bellissima iniziativa nelle scuole Pontine, invitando gli alunni a far volare nel cielo aquiloni, invadendo pacificamente le zone di appostamento dei bracconieri, per contrastare con i colori la violenza degli spari.
Il 10 aprile Piero ed Andrea sono tornati a Ponza e, noleggiato uno scooter, hanno girato in due ore l’intera isola, controllando velocemente la situazione, per verificare se qualcosa fosse cambiato. Per fortuna la passeggiata su due ruote è stata una semplice “promenade”: nessun sito attivo, nessuna trappola, nessuno sparo. I campi antibracconaggio sono il progetto di ogni singolo istante, là dove il significato di “legalità”, è solo sottilmente connesso ad un senso di giustizia umana, ma fortemente collegato al diritto di esistere per ogni essere ed ogni abitante del pianeta.
[di Maria Teresa de Carolis] Vallevegan è un'oasi di pace per gli animali salvati dallo sfruttamento degli allevamenti: la valle degli animali liberi. L'articolo su Terra Nuova Marzo 2013 vi racconta questo esempio di utopia concreta.
Ci sono luoghi dove la violenza viene considerata un diritto, dove la tortura è la quotidiana manifestazione dell'umana "sopravvivenza", dove il buio nasconde il sangue e le grida di dolore si mescolano alla nebbia. Luoghi dove la vita viene considerata profitto, e dove milioni di esseri ogni giorno subiscono la condanna e il martirio per poi finire sul banco frigo di un negozio e di un supermercato.
Confezioni senza passato,impersonali vaschette di cibo per umani. Ci sono però anche luoghi - purtroppo ancora in esigua minoranza, ma una minoranza in crescita - dove l'amore cancella il buio, rischiara il dolore e solleva qualche anima da un destino senza speranza.
Sono posti speciali, dove vivono animali umani e non, e dove il diritto alla vita è fondamento e motore.
Questa è la storia di uno di questi luoghi speciali. Si chiama Vallevegan, è nata nel 2006 come fondazione e ha trovato sede sulle colline vicino Roma: lì, animali di ogni specie vengono ospitati e accuditi senza che gli venga chiesto niente in cambio.
Si tratta insomma di un'a-fattoria per eccellenza: non si alleva per profitto e non si sfrutta, ma si accoglie e si cura ogni individuo, umano e non, in un ambiente immerso in una decina di ettari di bosco.
Vallevegan infatti è nata con l'obiettivo di promuovere la liberazione animale attraverso uno stile di vita vegan, che come sappiano non significa solamente eliminare i derivati animali dalla propria dieta, ma abbracciare una visione antispecista, che rifiuta di portare l'uomo al di sopra di tutte le specie...
ValleVegan partecipa attivamente al film - documentario "Emptying the Skies" sull'antibracconaggio, presentato nei più importanti festival di cinema per documentari (Sunshine, Sheffield ecc.).
Dai produttori americani di Cronenberg, West e Gordon. Con Jonathan Franzen (e Sergio Coen, Andrea Rutigliano e Piero Liberati)! Riprese girate in tutto il Mediterraneo ed... a ValleVegan!
Emptying the Skies, la lotta al bracconaggio nel docufilm di Jonathan Franzen Il film, coprodotto dallo scrittore e ispirato a un suo reportage per il New Yorker sull'uccellagione in Europa, sarà proiettato stasera allo Sheffield Docufestival. Protagonisti tre volontari italiani del Comitato contro la strage di uccelli. "Il mio modo di sostenere questi ragazzi"... di MARGHERITA D'AMICO
Il più importante scrittore americano contemporaneo, Jonathan Franzen, continua con il suo impegno per la divulgazione del fenomeno della caccia illegale al popolo alato.
Nel numero di luglio del National Geographic, nelle 20 pagine dedicate al nostro attivismo nel Mediterraneo, appare il suo ultimo articolo sul bracconaggio, accompagnato dalle splendide foto di David Guttenfelder che ne svelano la drammatica realtà. Pubblichiamo anche il video - intervista al fotografo.
Last Song for Migrating Birds
From glue-covered sticks in Egypt hang two lives, and a question: How can we stop the slaughter of songbirds migrating across the Mediterranean? By Jonathan Franzen Photograph by David Guttenfelder
In a bird market in the Mediterranean tourist town of Marsa Matruh, Egypt, I was inspecting cages crowded with wild turtledoves and quail when one of the birdsellers saw the disapproval in my face and called out sarcastically, in Arabic: “You Americans feel bad about the birds, but you don’t feel bad about dropping bombs on someone’s homeland.”
I could have answered that it’s possible to feel bad about both birds and bombs, that two wrongs don’t make a right. But it seemed to me that the birdseller was saying something true about the problem of nature conservation in a world of human conflict, something not so easily refuted. He kissed his fingers to suggest how good the birds tasted, and I kept frowning at the cages.
To a visitor from North America, where bird hunting is well regulated and only naughty farm boys shoot songbirds, the situation in the Mediterranean is appalling: Every year, from one end of it to the other, hundreds of millions of songbirds and larger migrants are killed for food, profit, sport, and general amusement. The killing is substantially indiscriminate, with heavy impact on species already battered by destruction or fragmentation of their breeding habitat. Mediterraneans shoot cranes, storks, and large raptors for which governments to the north have multimillion-euro conservation projects. All across Europe bird populations are in steep decline, and the slaughter in the Mediterranean is one of the causes.
Italian hunters and poachers are the most notorious; for much of the year, the woods and wetlands of rural Italy crackle with gunfire and songbird traps. The food-loving French continue to eat ortolan buntings illegally, and France’s singularly long list of huntable birds includes many struggling species of shorebirds. Songbird trapping is still widespread in parts of Spain; Maltese hunters, frustrated by a lack of native quarry, blast migrating raptors out of the sky; Cypriots harvest warblers on an industrial scale and consume them by the plateful, in defiance of the law.
In the European Union, however, there are at least theoretical constraints on the killing of migratory birds. Public opinion in the EU tends to favor conservation, and a variety of nature-protection groups are helping governments enforce the law. (In Sicily, formerly a hot spot for raptor killing, poaching has been all but eliminated, and some of the former poachers have even become bird-watchers.) Where the situation for migrants is not improving is in the non-EU Mediterranean. In fact, when I visited Albania and Egypt last year, I found that it’s becoming dramatically worse.
February 2012 brought eastern Europe its coldest weather in 50 years. Geese that normally winter in the Danube Valley flew south to escape it, and some 50,000 of them descended on the plains of Albania, starving and exhausted. Every one of them was exterminated. Men using shotguns and old Russian Kalashnikovs mowed them down, while women and children carried the carcasses into towns for sale to restaurants. Many of the geese had been banded by researchers to the north; one hunter told me he’d seen a band from Greenland. Although nobody in Albania is going hungry, the country has one of the lowest per capita incomes in Europe. The unusual influx of saleable geese was literally a windfall for local farmers and villagers.
The easternmost of Europe’s migratory flyways passes through the Balkans, and in Albania the Adriatic coastline, which is otherwise forbiddingly mountainous, opens into an extraordinarily rich system of wetlands, lakes, and coastal plains. For millennia birds making the northward journey from Africa were able to rest and refuel here before struggling on over the Dinaric Alps to their breeding grounds, and to stop here again in the fall before recrossing the Mediterranean.
Under the 40-year Marxist dictatorship of Enver Hoxha, totalitarianism destroyed the fabric of Albanian society and tradition, and yet this was not a bad time for birds. Hoxha reserved the privileges of hunting and private gun ownership for himself and a few trusted cronies. (To this day the national Museum of Natural History displays bird trophies of Hoxha and other members of the politburo.) But a handful of hunters had minimal impact on the millions of migrants passing through, and the country’s command-economy backwardness, along with its repellence to foreign beach tourists, ensured that its wealth of coastal habitat remained intact.
Following Hoxha’s death, in 1985, the country underwent an uneasy transition to a market economy, including a period of near anarchy in which the country’s armories were broken open and the military’s guns were seized by ordinary citizens. Even after the rule of law was restored, Albanians kept their guns, and the country remained understandably averse to regulation of all kinds. The economy began to grow, and one of the ways in which a generation of younger men in Tirana expressed their new freedom and prosperity was to buy expensive shotguns, by the thousands, and use them to do what formerly only the elite could do: kill birds.
In Tirana, a few weeks after the big February freeze, I met a young woman who was very unhappy with her husband’s new hunting hobby. She told me they’d had a fight about his gun, which he’d had to borrow money to pay for. He kept the gun in their 1986 Mercedes, and she described how she’d once watched him pull over to the side of a road, jump out of the car, and start shooting at little birds on a power line.
“I’d like to understand this,” I said.
“You won’t!” she said. “We’ve talked about it, and I don’t understand it.” But she called her husband on her cell phone and asked him to join us.
“It’s become fashionable, and my friends talked me into it,” the hunter explained to me, somewhat sheepishly. “I’m not a real hunter—you can’t become a hunter at 40. But being a new one, and feeling good about owning a licensed weapon, a very good powerful gun, and never having killed any birds before, it was fun at first. It was like when summer comes and you feel like jumping in the ocean. I would go out on my own and drive up into the hills for an hour. We don’t have well-identified protected areas, and I’d shoot whatever I could. It was spontaneous. But it gets less joyful when you think about the animals you’re killing.”
“Yes, what about that?” I said.
The hunter frowned. “I feel very uncomfortable with the situation. My friends are saying it now too: ‘There are no birds; we walk for hours without seeing any.’ It’s really scary. At this point I’d be happy if the government put a stop to all hunting for two years—no, five years—to let the birds recover.”
There would be precedent for a fiat like this: Seven years ago, when coastal drug and human smuggling became a problem, the government simply banned most private boats and yachts. But electoral power in Albania is narrowly balanced between two major political parties, each of which is loath to impose potentially unpopular regulation on an issue of minor concern to most voters.
There is, indeed, only one serious bird advocate in Albania, Taulant Bino, who is also the country’s only real bird-watcher. Bino is the deputy minister of the environment, and one morning he took me out to Divjaka-Karavasta National Park, the crown jewel of Albanian coastal preserves, a vast area of outstanding beach and wetland habitat. It was mid-March, a time when hunting is banned throughout the country, and the park (where hunting is prohibited year-round) ought to have been full of wintering and migrating waterfowl and waders. Except for one pond defended by fishermen, however, the park was strikingly devoid of birdlife; there weren’t even any mallards.
Driving along the beach, we soon saw one reason why: A group of hunters had put out decoys and were shooting cormorants and godwits. The park’s manager, who was escorting us, angrily told the hunters to leave, at which point one of them took out a phone and tried to call a friend in the government. “Are you crazy?” the park manager shouted at him. “Do you realize that I’m here with the deputy minister of the environment?”
Bino’s ministry has safeguarded, at least on paper, sufficient habitat to sustain healthy populations of migratory and breeding birds. “When conservationists saw that the economic development might hamper the biodiversity,” Bino told me, “they thought they’d better expand the network of protected areas before they were threatened with development. But it’s difficult to control people who are armed—you also need the police. We closed one area here in 2007, and 400 hunters showed up, shooting everything. The police came in and confiscated some weapons, but after two days they said to us, ‘This is your problem, not ours.’ ”
Unfortunately, the old communist joke still applies to forestry officials responsible for the protected areas: The government pretends to pay them, and they pretend to work. As a result, the laws are not enforced—a fact that Italian hunters, limited by EU regulations at home, were quick to recognize and exploit after Hoxha’s death. During my week in Albania I didn’t visit a protected area in which there were not Italian hunters, even though the hunting season had ended, even in unprotected areas. In every case the Italians were using illegal high-quality bird-sound playback equipment and shooting as much as they wanted of whatever they wanted.
On a second visit to Karavasta, without Bino, I saw two men in camouflage getting into a boat with guns, obviously hurrying to push off before I could speak to them. An Albanian helper of theirs, standing on the beach, told me that they were Albanians, but when I called out to them, they shouted back in Italian.
“OK, they’re Italians,” the helper admitted as they motored away from us. “Cardiologists from Bari, very well equipped. They were out here from dawn to midnight yesterday.”
“Do they know the hunting season is over?” I asked.
“They’re smart men.”
“How did they get into the national park?”
“It’s an open gate.”
“And who gets paid off? The guards?”
“Not the guards. It’s higher up.”
“The park manager?”
The helper shrugged.
Albania was once ruled by Italy, and many Albanians still view Italians as models of sophistication and modernity. Beyond the very considerable immediate damage that Italian tourist hunters do in Albania, they’ve introduced both an ethic of indiscriminate slaughter and new methods of accomplishing it—in particular the use of playback, which is catastrophically effective in attracting birds. Even in provincial villages, Albanian hunters now have MP3s of duck calls on their cell phones and iPods. Their new sophistication, coupled with an estimated 100,000 shotguns (in a country of three million) and a glut of other weapons that can be used opportunistically, has turned Albania into a giant sinkhole for eastern European migratory biomass: Millions of birds fly in and very few get out alive.
The smart or lucky ones avoid the country. On a beach in Velipoja I watched large flocks of garganeys fly back and forth in distress, far offshore, further exhausting themselves after crossing the Adriatic, because local hunters in well-spaced beach blinds prevented them from reaching the wetlands where they could feed. Martin Schneider-Jacoby, who was a bird specialist for the German organization EuroNatur until his death last summer, described to me how flocks of cranes, approaching Albania from the sea, divide in two by age group. The adult birds continue flying at high altitude, while inexperienced first-year birds, seeing attractive habitat below, descend until shots ring out—there’s always somebody ready to take potshots—and then rise again and follow the adults. “They’re coming from the Sahara,” Schneider-Jacoby said, “and they have 2,000-meter mountains they have to cross. They need the rest. They might still have the energy to get over the mountains, but maybe not then for successful breeding.”
Across the Albanian border, in Montenegro, Schneider-Jacoby showed me the extensive salt pans at the town of Ulcinj. Until recently, Montenegrin hunters kept the pans as empty of birds as Albania’s “protected” areas, just a few miles away, but a nonprofit, the Center for Protection and Research of Birds of Montenegro, has provided for a single ranger to report poachers to the police, and the results have been dramatic: birds as far as the eye can see, thousands of waders, thousands of ducks, all busily feeding. Spring migration, always awe-inspiring, had never seemed to me more so.
“Eurasia cannot afford a sinkhole like Albania,” Schneider-Jacoby said. “We’re too good at killing these animals, and we still haven’t learned in Europe how to have a system that will allow birds to survive. Hunting bans are the only thing that seems to work right now. If they stop the hunting here, they’ll have the best habitat in Europe. People will come to Karavasta to see the resting cranes.”
The situation in Albania isn’t hopeless. Many new hunters seem aware that something has to change; better environmental education and the coming growth of foreign tourism may increase demand for unspoiled natural areas; and bird populations will rebound quickly if the government enforces the law in protected areas. When I took the hobbyist hunter and his wife to Karavasta and showed them the ducks and waders at the one defended pond, the wife cried out with pride and happiness: “We didn’t know we had birds like this here!” (Shortly after my visit, her husband sold his gun.)
Farther south, hope is harder to come by. As in Albania, history and politics in Egypt militate against conservation. The country is nominally a signatory to several international conventions regulating bird hunting, but long-standing resentment of European colonialism, compounded by the conflict between traditional Muslim culture and the destabilizing freedoms of the West, disincline the Egyptian government to abide by them. What’s more, the Egyptian revolution of 2011 was specifically a repudiation of Egypt’s police. The new president, Mohamed Morsi, could ill afford to enforce regulations overzealously; he had a lot more urgent worries than wildlife.
In northeastern Africa, unlike in the Balkans, there is also an ancient, rich, and continuous tradition of harvesting migratory birds of all sizes. (The miraculous provision of meat accompanying the manna from heaven that saved the Israelites in the Sinai is thought to have been migrating quail.) As long as the practice was pursued by traditional methods (handmade nets and lime sticks, small traps made of reeds, camels for transportation), the impact on Eurasian breeding bird populations was perhaps sustainable. The problem now is that new technology has vastly increased the harvest, while the tradition remains in place.
The most hope-confounding cultural disjunction, however, may be this: Egyptian bird hunters make no distinction between catching a fish and catching a bird (indeed, in the Nile Delta, they use the same nets for both), whereas, for many Westerners, birds have a charisma, and thus an emotional and even ethical status, that fish do not. In the desert west of Cairo, while sitting in a tent with six young Bedouin bird hunters, I saw a yellow wagtail hopping in the sand outside. My reaction was emotional: Here was a tiny, confiding, warm-blooded, beautifully plumaged animal that had just flown several hundred miles across the desert. The reaction of the hunter next to me was to grab an air rifle and take a shot. For him, when the wagtail fluttered off unharmed, it was as if a fish had got away. For me it was a rare moment of relief.
The six Bedouin, barely out of their teens, were camped in a sparse grove of acacias, surrounded in all directions by sand roasting in September sun. They patrolled the grove with a shotgun and air rifles, stopping to flush birds from the acacias by clapping their hands and kicking sand. The grove was a magnet for southbound migrants, and every bird that flew in, regardless of its size or species or conservation status, was killed and eaten. For the young men, songbird hunting was a relief from boredom, an excuse to hang out as a group and do guy things. They also had a generator, a computer loaded with B movies, an SLR camera, night-vision goggles, and a Kalashnikov to fire for fun—they were all from well-to-do families.
Their morning’s catch, strung on a wire like a large bunch of fish, included turtledoves, golden orioles, and tiny warblers. There’s not much meat on a warbler, or even on an oriole, but to prepare for their long autumnal journey the migrants build up stores of fat, which could be seen in yellow lobes on their bellies when the hunters plucked them. Served with spiced rice, they made a rich lunch. Although orioles are reputed in the Middle East to be good for male potency (they’re “natural Viagra,” I was told), I had no use for Viagra and helped myself only to a turtledove.
After lunch a hunter came into the tent with the yellow wagtail that I’d seen hopping on the sand. It looked even smaller dead than it had alive. “Poor thing,” another hunter said, to general laughter. He was joking for a Westerner.
Because Egyptian desert travel is now by truck, rather than camel, practically every decent-size tree or bush, no matter how isolated, can be visited by hunters during the peak fall season. In some areas golden orioles are a cash crop, sold to middlemen for freezing and resale in the Persian Gulf states. The Bedouin, however, mostly eat what they catch or give it away to friends and neighbors. At prime sites, such as the Al Maghrah oasis, where hunters congregate by the dozens, a single hunter can kill more than 50 orioles in one day.
I visited Al Maghrah late in the season, but the oriole decoys (consisting typically of a dead male on a stick) were still attracting good numbers, and the hunters rarely missed with their shotguns. Given how many hunters there were, it seemed quite possible that 5,000 orioles were being taken annually at this one location. And given that there are scores of other desert hunting sites, and that the bird is a prized quarry along the Egyptian coast as well, the losses in Egypt represent a significant fraction of the species’ European population of two or three million breeding pairs. Enjoyment of a colorful species with a vast summer and winter range is thus being monopolized, every September, by a relatively tiny number of well-fed leisure hunters seeking natural Viagra. And while some of them may be using unlicensed weapons to kill orioles, the rest are breaking no Egyptian laws at all thereby.
At the oasis I also met a shepherd too poor to own a shotgun. He and his ten-year-old son instead relied on four nets, hung over trees, and they were mostly catching smaller birds like flycatchers, shrikes, and warblers. The son was therefore excited when he managed to corner a male oriole, splendidly gold and black, in a net. He came running back to his father with it—“An oriole!” he shouted proudly—and cut its throat with a knife. Moments later a female oriole flashed close to us, and I wondered if it might be the dead male’s distraught mate. The shepherd boy chased it toward a netted palm tree, but the bird avoided the tree at the last second and headed into the open desert, flying southward.
Most of the Bedouin I spoke to told me that they won’t kill resident species, such as hoopoes and laughing doves. Like other Mediterranean hunters, however, they consider all migratory species fair game; as the Albanians like to say, “They’re not our birds.” While every Egyptian hunter I met admitted that the number of migrants has been declining in recent years, only a few allowed that overharvesting might be a factor. Some hunters blame climate change; an especially popular theory is that the increasing number of electric lights at the coast is frightening the birds away. (In fact, lights are more likely to attract them.)
Environmental advocacy and education in Egypt are mostly confined to a few small nongovernmental organizations, such as Nature Conservation Egypt (which provided assistance with this story). European bird-advocacy groups expend significant money and manpower on Malta and in other European hot spots for migratory bird killing, but the problem in Egypt, which is more severe than anywhere in Europe, is largely overlooked. This represents, perhaps, the inverse of They’re not our birds: They’re not our hunters. But the political and cultural divide between the West and the Middle East is also daunting. The basic message of environmental “education” is, unavoidably, that Egyptians should stop doing what they’ve always done; and the concerns of a bird-smitten nation like England, whose colonization of Egypt is in any case still resented, seem as absurd and meddling as a Royal Society for the Protection of Catfish would seem to rural Mississippians.
Most Egyptian coastal towns have bird markets where a quail can be bought for two dollars, a turtledove for five, an oriole for three, and small birds for pennies. Outside one of these towns, El Daba, I toured the farm of a white-bearded man with a bird-trapping operation so large that, even after the families of his six sons had eaten their fill, he had a surplus to bring to market. Enormous nets were draped over eight tall tamarisk trees and many smaller bushes, encircling a grove of figs and olives; the nets were an inexpensive modern product, available in El Daba for only the past seven years. The sun was very hot, and migrant songbirds were arriving from the nearby coastline, seeking shelter. Repelled by the net on one tree, they simply flew to the next tree, until they found themselves caught. The farmer’s grandsons ran inside the nets and grabbed them, and one of his sons tore off their flight feathers and dropped them in a plastic grain sack. In 20 minutes I saw a red-backed shrike, a collared flycatcher, a spotted flycatcher, a male golden oriole, a chiffchaff, a blackcap, two wood warblers, two cisticolas, and many unidentified birds disappear into the sack. By the time we paused in the shade, amid the discarded heads and feathers of cuckoos and hoopoes and a sparrow hawk, the sack was bulging, the oriole crying out inside it.
Based on the farmer’s estimates of his daily take, I calculated that every year between August 25 and September 25, his operation removes 600 orioles, 250 turtledoves, 200 hoopoes, and 4,500 smaller birds from the air. The supplemental income is surely welcome, but the farm would clearly have thrived without it; the furnishings in the family’s spacious guest parlor, where I was treated with great Bedouin hospitality, were brand-new and of high quality.
Everywhere I went along the coast, from Marsa Matruh to Ras el Barr, I saw nets like the farmer’s. Even more impressive were the mist nets used for catching quail: ultrafine nylon netting, all but invisible to birds, that is strung on poles and reaches from ground level to 11 or more feet off the ground. The mist nets, too, are a recent innovation, having been introduced in Sinai about 15 years ago and spread westward until they now cover the entire Egyptian Mediterranean coast. In north Sinai alone, mist nets stretch for 50 miles. Along the coastal highway west of Sinai, the nets run to the horizon and pass straight through tourist towns, in front of hotels and condominiums.
Much of Egypt’s coast is, on paper, protected. But the coastal preserves protect birds only to the extent of requiring permits to erect nets for catching them. These permits are cheap and freely granted; official restrictions on the height and spacing of the nets are honored in the breach. The owners of the nets go out before dawn and wait for quail, arriving from across the sea, to come zinging over the beach and enmesh themselves. On a good day, a third of a mile of nets can yield 50 quail or more. My very low-end estimate, based on figures from a bad year, is that 100,000 quail are taken annually in Egypt’s coastal mist nets alone.
Even as quail are becoming very difficult to find in much of Europe, the take in Egypt is increasing, due to the burgeoning use of playback technology. The best system, Bird Sound, whose digital chip holds high-quality recordings of a hundred different bird sounds, is illegal to use for hunting purposes in the EU but is nevertheless sold in stores with no questions asked. In Alexandria, I spoke with a sport hunter, Wael Karawia, who claimed to have introduced Bird Sound to Egypt in 2009. Karawia said he now feels “very bad, very regretful” about it. Normally, perhaps three-quarters of incoming quail fly over the mist nets, but hunters using Bird Sound can attract the higher flying ones as well; already all the mist netters in north Sinai are doing it, some of them in spring as well as fall. Hunters on Egypt’s large lakes have also begun to use Bird Sound to capture entire flocks of ducks at night.
“It will start to affect the birds, it has to,” Karawia told me. “The problem is the mentality—people want to fish anything and hunt anything, with no rules. We already had a lot of guns before the revolution, and since then there’s been a 40 percent increase. The people who don’t have money make their own guns, which is very dangerous—it could get them three years in jail—but they don’t care. Even the kids are doing it. School starts in September, but the kids don’t start until the hunting season ends.”
On the beach in the tourist town of Baltim, I had an encounter with some of these kids. Quail are the only permissible target of mist netters, but there is always a bycatch of small birds and even of the falcons that prey on them. At sundown in Baltim, walking with a guide from Nature Conservation Egypt and an official from the local protected area, I noticed a beautiful and tiny shorebird, a little ringed plover, caught in a net in the shadow of condominiums. My guide, Wael Shohdi, began to extricate it delicately but stopped when a young man came running up, carrying a mesh bag and trailed by two teenage friends. “Don’t touch the bird,” he shouted angrily. “Those are our nets!”
“It’s OK,” Shohdi assured him. “We handle birds all the time.”
A tussle ensued as the young hunter tried to show Shohdi how to yank the bird out without damaging the net. Shohdi, whose priority was the safety of the bird, somehow managed to free the plover in one piece. But the hunter then demanded that Shohdi hand it over.
The government official, Hani Mansour Bishara, pointed out that, along with two live quail, the hunter had a live songbird in his bag.
“No, that’s a quail,” the hunter said.
“No, it’s not.”
“OK, it’s a wheatear. But I’m 20 years old and we’re living from this net.”
Not being an Arab speaker, I learned only afterward what they were saying. What I could see in the moment was Shohdi continuing to hold the plover in his hand while the hunter reached for it angrily, trying to grab it away. We were in a country where millions of birds were being killed, but I couldn’t help worrying about this individual plover’s fate. I urged Shohdi to remind the hunter that it was illegal to keep anything but quail from the nets.
Shohdi did this, but the law was apparently not a good argument to use on angry 20-year-olds. Instead, with a view to changing hearts and minds, Shohdi and Bishara made the case that the little ringed plover is an important species, found only on mudflats, and that, moreover, it might be carrying a dangerous disease. (“We were lying a little bit,” Shohdi told me later.)
“So which is it?” the hunter demanded. “A diseased bird or an important species?”
“Both!” Shohdi and Bishara said.
“If it’s true about the disease,” one of the teenagers said, “we all would have been dead years ago. We eat everything from the nets. We never let anything go.”
“You can still get the disease from cooked birds,” Bishara improvised.
My concern about the plover deepened when Shohdi handed it over to the hunter, who (as I learned only subsequently) had sworn by Allah that he would release both it and the wheatear, just not while we were watching.
“But the National Geographic needs to see that they really are released,” Shohdi said.
Becoming even angrier, the hunter took out the wheatear and flung it in the air, and then did the same with the plover. Both flew straight to some of their fellows, farther down the beach, without looking back. “I only did it,” the hunter said defiantly, “because I’m a man of my word.” There wasn’t much more than one large bite of meat on the two birds put together, but I could see, in the hunter’s bitter expression, how much it cost him to let them go. He wanted to keep them even more than I wanted to see them freed.
Before leaving Egypt, I spent some days with Bedouin falcon trappers in the desert. Even by Bedouin standards, falcon trapping is a pursuit for men with a lot of time on their hands. Some have been doing it for 20 years without catching either of the two prized species, saker falcons and peregrine falcons, that are prized by middlemen catering to ultra-wealthy Arab falconers. The saker is so rare that not more than a dozen or two are captured in any given year, but the size of the jackpot (a good saker can fetch over $35,000, a peregrine over $15,000) entices hundreds of hunters into the desert for weeks at a time.
Falcon trapping requires the cruel use of many smaller birds. Pigeons are tied to stakes in the sand and left in the sun to attract raptors; doves and quail are outfitted with harnesses bristling with small nylon nooses in which sakers and peregrines can get their feet stuck; and smaller falcons, such as lanners or kestrels, have their eyelids sewn shut and a weighted, noose-laden decoy attached to one leg. Hunters drive around the desert in their Toyota pickups, visiting the staked pigeons and stopping to hurl the disabled kestrels into the air like footballs, in the hope of attracting a saker or a peregrine—a blinded, weighted kestrel can’t fly far. The hunters also often tether an unblinded falcon to the hood of their trucks and keep an eye on it while they speed through the sand. When the falcon looks up, it means that a larger raptor is overhead, and the hunters leap out to deploy their various decoys. The same routine is followed every afternoon, week after week.
One of the two most heartening things I witnessed in Egypt was the rapt attention that falcon hunters gave to my paperback field guide, Birds of Europe. They invariably clustered around it and turned its pages slowly, back to front, studying the illustrations of birds they’d seen and birds they hadn’t. One afternoon, while watching some of them do this, in a tent where I was offered strong tea and a very late lunch, I was stabbed with the crazy hope that the Bedouin were all, without yet realizing it, passionate bird-watchers.
Before we humans could be served lunch, one of the hunters tried to feed headless warblers to the blinded kestrel and the blinded sparrow hawk that were in the tent with us. The kestrel ate readily, but no amount of pushing the meat into the sparrow hawk’s face would induce it to eat. Instead, it busied itself with pecking at the twine that bound its leg—futilely, it seemed to me, at least until after lunch, when I was outside the tent and letting the hunters try out my binoculars. All of a sudden a shout went up. I turned and saw the sparrow hawk winging purposefully away from the tent and into the desert.
The hunters immediately gave chase in their trucks, in part because the bird was valuable to them but also in part—and this was the other heartening thing I witnessed—because a blinded bird couldn’t survive on its own, and they felt bad for it. (At the end of the falcon season, hunters unsuture the eyelids of their decoy falcons and release them, if only because it’s a bother to feed the birds year-round.) The hunters drove farther and farther into the desert, worrying about the sparrow hawk, hoping to spot it, but I personally had mixed feelings. I knew that if it got away, and if no other group of hunters happened upon it, it would soon be dead; but in its yearning to escape captivity, even blinded, even at the cost of certain death, it seemed to embody the essence of wild birds and why they matter. Twenty minutes later, when the last of the hunters returned to the tent empty-handed, my thought was: At least this bird had a chance to die free.